Fiumi Lionello
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Poeta, scrittore, nacque a Rovereto (Tn) il 12 aprile 1894. Figlio di un professore di chimica e autore di testi scolastici, manifestò precoce interesse per la lettura e iniziò a scrivere all’età di dieci anni un romanzetto sulla falsariga di Robinson Crusoe cui seguirono altre due prove letterarie. Nel 1908 la famiglia si trasferì a Verona, che divenne la patria del giovane Fiumi; frequentò l’Istituto tecnico “A. M. Lorgna” nonostante i suoi interessi per la poesia che prevalse – per tutto il resto della sua vita – su ogni cosa; cominciò a passare dei periodi presso la villa della nonna paterna a Roverchiara, luogo che diverrà – in seguito – la dimora prediletta. A causa di un precoce esaurimento nervoso fu mandato a curarsi a Monaco di Baviera e poi sulle rive del Baltico: nel nord dell’Europa, oltreché imparare il tedesco, ebbe modo di conoscere la poesia moderna della quale sarà un ammiratore e critico per tutta l’esistenza. Rientrato in Italia, nel 1914 pubblicò la sua prima raccolta di poesie, Pòlline, stampata a Milano: opera importante per i testi ma soprattutto per l’appello neoliberista divenuto poi il manifesto del movimento ‘avanguardista’ equamente distante dalla tradizione e dal futurismo e che ebbe per fulcro la rivista “La Diana” di Napoli. Il libro fu accolto con immenso interesse e con qualche critica: ma per Lionello Fiumi era arrivata la fama.
Nella città scaligera egli divenne, ben presto, un punto di riferimento per poeti, artisti e gente di cultura; tutti coloro che avranno gloria nell’ambito dell’arte – nei suoi diversi aspetti – in quella Verona del primo dopoguerra, così ricca d’ingegni e di menti brillanti (Lorenzo Montano, Sandro Baganzani, Felice Casorati, Umberto Zerbinati, Guido Trentini, Eugenio Prati, Lina Arianna Jenna e molti altri) troveranno in lui un sicuro e attento propositore. Al di fuori delle mura veronese, strinse rapporti di amicizia e di comunanza poetica con Corrado Govoni, Ardengo Soffici, Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale, Salvatore Quasimodo, Filippo De Pisis, Piero Gobetti, Gherardo Marone, napoletano e direttore de “La Diana” e numerosi altri.
Nel 1920, presso Taddei, la casa editrice ferrarese – luogo prediletto dell’attività letteraria innovatrice – pubblicò Mùssole, la sua seconda raccolta di versi e, probabilmente, il suo libro migliore. Recensita dai critici più importanti e quasi sempre favorevolmente, l’opera lo lanciò nell’agone europeo. Tra i 1921 e il 1925 si trasferì a Venezia per dirigere “ Il Gazzettino illustrato” (egli fu sempre un giornalista e tale rimase per tutta la vita) chiamandovi a scrivere le firme più illustri.
Nei suoi frequenti viaggi in Francia, incontrò Marthe Leroux che divenne sua moglie; stabilitosi nella banlieu parigina, si trovò ben presto ad essere l’animatore della conoscenza della poesia italiana in terra francese: fu lui a fare conoscere Umberto Saba e i suoi vecchi, grandi amici poeti (con i quali, più tardi, non andrà sempre d’accordo), tradurrà le loro opere, pubblicherà un’antologia dei poeti italiani, una dei narratori (assieme ai maggiori italianisti d’Oltralpe, quali Eugène Bestaux, André Pézard, Armand Henneuse), porterà a Parigi le opere degli artisti (scultori e pittori, massimamente) quali Mario Tozzi, Alberto Savinio, Giorgio De Chirico, Massimo Campigli, Gino Severini, e molti altri; nel contempo non dimenticava di pubblicare altre opere poetiche, inframmezzando la permanenza parigina con i viaggi in Olanda, alle Antille, nel nord dell’Europa: di ognuno di questi luoghi visitati racconterà poeticamente le impressioni. Nel 1928 ottenne il “Gran Prix International de la Poésie”.
Nel 1930, dapprima quale segretario (sino al 1934) e, poi, come responsabile dirigerà la sede della “Dante Alighieri” a Parigi; nel 1932 fondò e diresse, sino al 1940, la rivista bilingue “Dante: revue de culture latine” dov’egli, oltre a rappresentare l’italianità e la cultura della sua patria, farà convergere firme autorevoli e prestigiose delle letterature europee. Intanto si andava occupando della poesia giapponese moderna facendo conoscere in Italia e in Europa – grazie all’aiuto di un grande poeta nipponico, Kuni Matsuo – l’haiku, componimento poetico composto da tre versi per complessive diciassette more: i versi giapponesi seguono l’andamento fonetico (le more), non quello delle sillabe.
Fu, questo, il periodo della sua maggiore celebrità che gli permise, tra l’altro, di viaggiare moltissimo e, grazie ai suoi resoconti sui giornali, l’Accademia d’Italia lo premiò per la seconda volta.
Nel 1940, forse per sfuggire a una possibile deportazione a causa della guerra, fuggì da Parigi rifugiandosi a Roverchiara dove rimase per tutto il periodo del conflitto mondiale. La dolorosa esperienza gli suggerì – più tardi – Stagione colma, dove la visione della morte, pensosa e dolente, trascolora in immagini e in accenti di severa condanna per il mondo della guerra. Durante il conflitto, però, la sua frenetica attività scrittoria non conobbe soste; nel 1944, ancora per non incorrere in una sicura deportazione, si rifugiò a Lanzo d’Intelvi, sul Lago di Como.
Alla fine della guerra, Fiumi fondò e diresse la rivista “Misura” con sede a Bergamo, che divenne pure una casa editrice di poesia. Pubblicò un unico romanzo, Sul cuore l’ombra, nel 1951. Negli anni che seguirono, egli dedicò alcune sue opere a parlare e descrivere gli amici artisti e poeti con cui aveva diviso la giovinezza: Li ho veduti così. Figure ed episodi nella Verona della mia adolescenza (Verona 1952), Li ho veduti a Parigi (Milano 1960).
Nel 1956 morirà la moglie cui dedicherà una raccolta poetica, Ghirlanda per Marta; due anni più tardi sposerà Beatrice Magnani che sarà il nume tutelare del resto della sua esistenza che diverrà assai più dolorosa: durante un viaggio in Sicilia sarà colpito da emiparesi dalla quale non riuscirà a guarire anche se le condizioni della malattia miglioreranno di molto.
La sua opera poetica aveva cominciato a conoscere le prime grandi critiche complessive e per Fiumi, diventato veronese soltanto e dividendo i suoi giorni tra le poche permanenze cittadine e i lunghi periodi a Roverchiara, arrivarono anche i riconoscimenti della sua Verona: già l’Accademia di Agricoltura, Scienze e Lettere l’aveva nominato tra i suoi membri, poi ricevette il premio “San Zeno”, la Commenda d’oro dal Re del Belgio e la bibliografia su di lui comincerà a espandersi. Dispose che il suo grande e prezioso archivio rimanesse alla città: trattasi del “Centro studi internazionali L. Fiumi”.
Si spense a Roverchiara il 5 maggio 1973.
Angelo Zamboni e Pino Casarini (entrambi nel 1917) lo avevano immortalato in due splendidi ritratti, Eugenio Prati ne aveva fatto un busto. Il comune di Roverchiara, in suo nome, ha istituito un premio nazionale di poesia onorato da nomi illustri tra i vincitori, gli ha dedicato la scuola primaria ed una via. Verona, Rovereto e Castion Veronese lo hanno ricordato intitolandogli una via. Beatrice Magnani, durante la propria vita, ha cercato in tutti i modi di fare ricordare l’opera del marito.
Bibliografia: su Fiumi essa è vastissima per cui limitiamo a pochi titoli: Gian Paolo Marchi, Per Lionello Fiumi, in Lionello Fiumi, Opere poetiche, Verona, Fiorini, 1994; Giancarlo Volpato, Il poeta e il professore: carteggio Sandro Baganzani-Lionello Fiumi: 1914-1949, Verona, Cierre, 1996; Tra Verona, Parigi e Roverchiara: l’esperienza umana e letteraria di Lionello Fiumi: atti del Convegno tenuto a Roverchiara il 26 novembre 2000, a cura di Stefania Guerrini, Roverchiara, Comune di Roverchiara, 2002; Giancarlo Volpato, Fiumi, Lionello, in Dizionario biografico dei Veronesi (secolo XX), a cura di G. F. Viviani, Verona 2006, pp. 373-377; Giancarlo Volpato, Di Lionello Fiumi e di altri veronesi: dediche d’esemplare a Mario Donadoni, in Magna Verona vale: studi in onore di Pierpaolo Brugnoli, Verona, La Grafica, 2008, pp. 273-309; Dieci anni del Premio Lionello Fiumi a Roverchiara, a cura di Stefania Guerrini, Rovereto (Tn), Osiride, 2010.
Giancarlo Volpato