Masprone Alberto
…a cura di Giancarlo Volpato
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Atleta, sportivo, allenatore, aviatore, Giuseppe Carlo Alberto Masprone nacque a Poiano di Verona il 30 maggio 1884. Nonostante le nostre ricerche, non abbiamo conosciuto i nomi dei suoi genitori; costituivano, comunque ed è certo, una famiglia di un certo prestigio non solo economico che permise al figlio, eclettico e dotato di una capacità fisica ed intellettuale al di sopra della media di allora, una vita di sommo interesse: versatile e votato ai molti interessi non legati al denaro, Alberto Masprone (questo il solo nome ch’egli utilizzò e quale anche la storia ha tramandato) si colloca tra i personaggi, poco conosciuti della Verona di fine secolo diciannovesimo con qualche rimbalzo importante all’inizio di quello successivo.
Percorse la scuola fino a quattordici anni e poi, quasi come un’esplosione, il giovane iniziò la sua vita di atleta, di giocatore, di straordinario giovane dedito allo sport con molta capacità ed attenzione.
Poco più che quindicenne – era il 19 o 20 agosto 1899 – partecipò alla prima partita di calcio giocata nella città di Verona, nel campo della Fiera; a fronteggiarsi vi erano una selezione dei ginnasti della palestra Bentegodi (soprannominata Partito dei Verdi) ed una degli atleti della squadra con il nome cittadino (Partito dei Rossi); in quest’ultima giocò Masprone: capitano della stessa e attaccante, realizzò una doppietta che decretò la vittoria (per 2-1) dei Rossi. L’altro capitano, avversario, era Fulvio Cipolla. Il gioco del calcio lo attrasse sempre e fu davvero tra i pionieri di uno sport che a lui darà sempre molta soddisfazione; per la storia del football veronese egli sarà – e risulterà dalla sua biografia negli anni a venire – una pietra miliare.
Non legato a particolari problemi economici che l’avrebbero costretto a occuparsi altrimenti, il nostro Alberto passò i suoi anni (e non solo quelli giovanili) a cimentarsi nella gare dal momento che ebbe la fortuna di sapere allenare il suo fisico in maniera corretta e di sapere apprezzare il valore di impegni nazionali ed internazionali grazie ad un impegno quotidiano. Per Masprone lo sport non era altro che passione sentita con nobiltà schietta e semplice; la natura gli aveva conferito le migliori qualità dello sportivo: dell’atleta possedeva, infatti, non l’esterno che colpiva lo sguardo, ma l’asciutto vigore che nell’atletica leggera (primo grande interesse della sua vita giovanile) lo aveva portato a campione cittadino, poi nazionale e poi ancora più in alto.
La “Società Marcantonio Bentegodi”, nata tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento accoglieva tutti coloro che amavano lo sport: ed è proprio qui che Alberto Masprone, assieme a Erminio Lucchi, eccelse tra coloro che praticarono l’attività agonistica; il Nostro iniziò nel 1896 partecipando a gare di marcia e di corsa dedicandosi in seguito ai concorsi, ai salti, ai lanci: furono davvero molte le discipline nelle quali egli si cimentò, anche perché il suo fisico pareva nato per l’atletica.
Nel 1906, in Grecia ad Atene, si tennero i Giochi Intermedi cioè delle Olimpiadi che il regno dove erano nati i Giochi di Olimpia aveva voluto per sé: una specie di Olimpiadi, normalmente quadriennali, che tornarono – per quell’occasione – nella città dov’erano nate. Le preselezioni per formare la nazionale da mandare ad Atene si svolsero ai primi di aprile a Roma: due furono gli atleti che le superarono e cioè Lucchi e Masprone. Già campione veneto e nazionale del lancio del disco, nel lancio del giavellotto e nel getto del peso, il giovane di Poiano lanciò il disco a m. 35,00, conquistandosi il viaggio nella capitale greca: qui giunse in finale classificandosi al settimo posto (la gara fu vinta dall’americano Martin Sheridan con 39,28). L’amore per le Olimpiadi degli atleti italiani – furono in molti a sottolinearlo – ebbe sempre nei due veronesi i veri fondatori. Due anni dopo, a Piacenza, Masprone lanciò il disco a 40,19 che rimase, per anni, il primato nazionale; per molto tempo, il salto in alto, quello in lungo e le gare di ginnastica lo videro protagonista. I trionfi ateniesi fecero gridare il popolo di Verona che accolse i due atleti a Porta Vescovo con tutte le autorità presenti e i canti dei “bentegodini”: furono trasportati in trionfo alla palestra del Campo della Fiera; furono felici, poi, di ripetere, nella grande accademia di ginnastica in Arena, la prova che li aveva celebrati ad Atene. L’anno dopo, nel 1907, nella “Coppa del Re”, tenuta a Venezia, Alberto Masprone vinse la gara del lancio del disco, si affermò nel pentathlon divenendo, in questa serie di gare piuttosto difficili, il massimo rappresentante italiano per quasi dieci anni.
L’atletica, comunque, non fu l’unico amore del nostro giovane.
I primi anni del Novecento furono quelli nei quali scoppiava la manìa del calcio; già attivo in alcuni centri importanti, a Verona non esisteva: la ragione fondamentale risiedeva nel fatto che la città non possedeva alcun campo sportivo: per cui, a volte nell’Arena, più sovente nel campo della Fiera, talvolta in Piazza d’Armi o davanti alla basilica di San Zeno, si radunavano a giocare al pallone i giovani. Accadde l’anno di grazia: era il 1903 e Decio Corubolo, assieme ad Antonio Bellomi, (il primo docente di greco e latino, il secondo Preside) del Liceo Maffei, dette il nome di Hellas alla squadra di calcio veronese: era come celebrare la grandezza dell’Ellade (la Grecia) per la quale lo sport aveva rappresentato, sempre, un modello di vita corretta e sana per tutti i cittadini; il primo infaticabile presidente fu il conte Carlo Fratta Pasini che guidò il cammino nel momento certamente meno facile: ma il suo braccio, forte e sempre presente, fu Alberto Masprone sia quale consigliere sia quale supporto tecnico.
Infatti, oltreché organizzatore e co-fondatore dell’Hellas Verona, il Nostro fu giocatore quale attaccante (più tardi, probabilmente per la fama acquisita, Masprone giocò anche in qualche altra squadra, quale l’Inter); fu allenatore – nello stesso periodo nel quale era anche giocatore, almeno tra 1908 e 1911 – e diventò arbitro nel 1909: sino ad allora non si conoscevano le regole giuste, né si sapeva come mettersi alla guida di una partita di calcio: anche in questo il Nostro fu uno dei maestri. Effettivamente, quella forma di acuta intelligenza che ognuno dovette riconoscergli non derivava soltanto – e ciò appare di un’evidenza assoluta – dall’eclettismo soprattutto fisico oltreché mentale: faceva parte di una volontà connaturata e sostenuta anche da un’efficienza fisica a molti non consentita. Per la sua attività di arbitro, che riprese alla fine del primo conflitto mondiale, gli fu conferita la qualifica onorifica di “arbitro ad honorem” e, nel 1948, cinquantesimo anniversario della Federazione Italiana Gioco Calcio, ebbe il titolo di pioniere del calcio italiano proprio dall’Associazione Italiana Arbitri. Nel 1908, egli era diventato il terzo presidente dell’Hellas, succedendo a Giuseppe Bonomi da Monte, che aveva continuato quanto Fratta Pasini aveva cominciato. Masprone cambiò tattica quale rappresentante “in capo”: allargò il consiglio della società sportiva chiamandovi i nomi più rappresentativi della città: la sua carica umana riuscì a fare proseliti e indusse molti giovani ad avvicinarsi alla squadra, ad allenarsi, a giocare per vestire quella maglia gialloblù (in onore della Verona medioevale) e a convogliare buoni “sportivi” che potessero guardare a questo sport con occhi dell’avvenire; partì dalle scolaresche, alzò l’età dei partecipanti, insegnò a sorvegliare le mosse avversarie, bilanciò i giocatori con un buono e profittevole allenamento: Masprone passò alla storia calcistica veronese come colui che, più d’ogni altro, riuscì nella sua costanza di proselitismo. Era il 1910 quando – durante la sua presidenza – fu costruito il primo stadio (fra via Angeli e le Stimmate) per la “Federazione Veronese Bentegodi” e fu costituita la squadra “giallo-blu” i cui giocatori avevano “il dovere” d’iscriversi ad altre specialità della ginnastica. Fu lui che convinse il dr. Cavaggioni ad essere il medico degli atleti, fu lui che orientò Paolo Menegatti, l’ortolano costretto ad abbandonare i due campi su cui lavorava e che gli erano stati tolti, a diventare il custode del nuovo stadio.
Non si può dimenticare – cosa, invece, divenuta attuale – ciò che egli istituì nella sua città. Sull’orizzonte sportivo, i “Rari Nantes” apparvero il 1908 sulle vorticose onde dell’Adige: i salvataggi, le corse con i mezzi nautici, i metodi per fare in modo che il fiume non portasse con sé le persone, fecero dell’uomo di Poiano un promotore attivo e, soprattutto, cosciente di quanto anche lo sport avrebbe dovuto dare alla comunità. Dal 22 al 30 maggio 1910 a Verona, in Basso Acquar, egli fu il promotore del “Circuito aereo di Verona” con i “Concorsi Aerei Nazionali”: ancora una volta, aveva immaginato il futuro.
Lasciato lo sport attivo, Alberto Masprone assunse la presidenza della società sportiva “Marcantonio Bentegodi”: durante tale incarico organizzò, quale Presidente del Comitato degli stessi, la quattordicesima edizione dei Campionati italiani di atletica leggera (16-19 maggio 1922) disputati allo stadio comunale che portava – e porta tuttora – il nome Bentegodi.
Ottimo arbitro federale, divenne vicepresidente della Federazione Italiana Gioco Calcio nel periodo 1922-1923, vicepresidente del Comitato Olimpico Nazionale Italiano nel biennio successivo e fu il primo presidente dell’Associazione atleti azzurri d’Italia.
Furono anni importanti poiché Masprone si dedicò – anche in queste opere egli fu meritorio – alla nascita di giornali sportivi. Il 20 ottobre 1924, a Bologna fu fondato, grazie anche a lui, il “Corriere dello Sport”: tra i membri del Consiglio di gestione figurava pure Enzo Ferrari, il celebre pilota automobilistico: usciva tre giorni la settimana. In precedenza Masprone aveva lavorato come giornalista sportivo alla rivista “Football” dell’editore milanese Sonzogno.
Come molti suoi contemporanei, all’avvento del fascismo, si allontanò (o fu costretto a farlo) dagli incarichi ufficiali. Nessuno conosce la storia personale del Nostro né quali fossero gli introiti economici derivanti dalle sue molteplici attività. Tuttavia, già dal 1910, oltreché possedere l’Hotel Accademia a Verona, egli figurava proprietario di una serie di case, del cinema “Edison” (diventato, poi, “Marconi”) e di altri beni. L’albergo, tra i più noti della città, passò alla storia anche per una ragione che fu sostanzialmente dimenticata dai giornali. Era l’età dell’arte, era la “Verona degli Anni Venti”, la grande Verona della cultura: all’albergo di Masprone si radunavano – con feste e attività importanti – Ugo Trentini, Felice Casorati, Albano Vitturi, Sandro Baganzani (v. queso Sito), Lionello Fiumi (v. questo Sito) e i rappresentanti più noti della letteratura e dell’arte di quel periodo. L’amore per questi artisti – certamente alcuni un poco diversi dalla gente di ogni giorno perché attratti da una mente geniale – aveva còlto i segni importanti in un uomo, totalmente non comune, quale Alberto Masprone: era la goliardica “Accademia Montebaldina”.
Al di fuori del mondo sportivo, il Nostro è ricordato nella storia dell’aviazione italiana.
Nel giugno 1915, più che trentenne, divenne sottotenente M.T. nell’83° Battaglione Intendenza Generale; chiese di partecipare a un corso per piloti e nel gennaio 1917 ottenne il brevetto. Divenne tenente, impegnò la sua vita di allora nell’Aeronautica: forse, per una mente innovativa che guardava sempre al futuro, era quanto avesse desiderato. Passò alla scuola idrovolanti di Sesto Calende e ottenne l’abilitazione di pilotaggio del velivolo FBA, allora il più importante e veloce. Per le eccezionali capacità dimostrate, fu inviato in qualità di istruttore alla scuola di Orbetello. Andò a istruire i giovani allievi-piloti a Malpensa, a Furbara vicino a Roma, alla scuola di volo di Ponte San Pietro nel bergamasco. Era, anche, l’epoca del dolore: la sconfitta di Caporetto aveva lasciato giovani sbandati, totalmente perduti nella sofferenza; ad alcuni di essi egli si avvicinò, infondendo speranza.
Assegnato, nel dicembre 1917, al Comando d’Aeronautica propose subito l’idea di costituire una squadriglia di soli veneti; accettata nel gennaio 1918, egli fu il comandante dell’87ᵃ Squadriglia denominata “Serenissima”; fu Masprone a guidare – con il veloce velivolo SVA – le ricognizioni strategiche operando sui campi di San Pelagio (Padova), Ghedi (Brescia) e poi, definitivamente, nel padovano; non aveva dimenticato alcune esercitazioni tenute a Tombetta e verso la zona di Boscomantico nel veronese. Capace tecnico e grande organizzatore, tuttavia egli non si dimostrò tale quale comandante e fu rimosso pochi mesi dopo. Ma il suo sogno fu accolto dall’Aeronautica e combaciò con quello di Gabriele D’Annunzio: il volo su Vienna; forte assertore dell’impresa, ottenne l’impiego di tutta l’unità. Furono incontri importanti, quando, quasi all’improvviso, sembrò che la squadriglia non avesse trovato l’accordo. Una lettera di D’Annunzio a Masprone, riassume, tra il dolore e la speranza, quanto il Vate-poeta contasse su quell’impresa: “Non può deludermi così crudelmente. E, come confido nel Destino, così confido nel Suo spirito fraterno…”. Avvenne ciò che entrambi avevano sognato: ma i velivoli di allora erano monoposto e quindi, per D’Annunzio, fu studiato un modo affinché egli stesso, personalmente, ne fosse partecipe. Così, all’alba del 9 agosto 1918, la “Serenissima” decollò al comando di Alberto Masprone. Questi, tuttavia, non sorvolò mai Vienna poiché fu costretto ad atterrare tra gli alberi, pochi minuti dopo il decollo, per il malfunzionamento del motore: e il comandante subì la frattura della mandibola con il ricovero in ospedale. Per due volte, tuttavia, i “Sette dell’Orsa Maggiore” – come si definirono – volarono a settecento metri sopra Vienna che riempirono di manifestini antiaustriaci. Il ritorno a San Pelagio fu trionfale e Gabriele D’Annunzio manifestò la propria gratitudine al capitano Alberto Masprone davanti a tutti gli uomini della “Serenissima”. Questi comandò, poi, la 90ª Squadriglia SVA 5 del campo d’aviazione di Busiago nel padovano e, nel dicembre 1918, la 60ª Squadriglia SVA Biposto di Ganfardine di Villafranca.
Nel 1924, egli lasciò Verona e si traferì a Milano dove cominciò un’attività legata agli alberghi: uno di questi fu il Grand Hôtel Milan dove, nella notte del 27 gennaio 1901, era scomparso Giuseppe Verdi. Alberto Masprone se ne andò, a Milano, nel silenzio che l’aveva sempre caratterizzato, il 13 febbraio 1964. A Verona egli porta intestato il palazzetto dello sport, a lato dell’attuale stadio; Poiano, dove aveva visto la luce, gli ha intitolato una via.
Bibliografia: Giuseppe Pollorini, Un po’ di Verona (1901-1910), s. II, Verona, Vita Veronese, 1963, pp. 160-172; 87ª Squadriglia La Serenissima, a cura di Giovanni Barozzi, Rovereto, Museo storico della guerra, 1969; Giovanni Priante, I veronesi alle Olimpiadi, Verona, Comune di Verona, Assessorato allo sport, 1997, pp. 79-82; Giuseppe Franco Viviani, Masprone Alberto, in Dizionario biografico dei Veronesi (sec. XX), a cura di G.F. Viviani, Verona 2006, pp. 528-529; Giovanni Cantù, La Serenissima di Masprone, “Pantheon” (Grezzana), agosto-sett. 2011, pp. 32-33; Giovanni L. Lugoboni, Biografie dei grandi veronesi: descrizione della vita e delle vicende di personaggi illustri che hanno lasciato il segno a Verona, Vago di Lavagno, G. Bussinelli, 2014, pp. 320-322; Luigi Ferrari, Calciatore, discobolo, aviatore, giornalista e albergatore, “Verona fedele”, 25 giugno 2023, n. 25, p. 13.
Giancarlo Volpato