Pellegrini Vittorio
…a cura di Giancarlo Volpato
Per le tue domande scrivi a: giancarlovolpato@libero.it
Ispettore forestale, selvicoltore, Vittorio Pellegrini nacque a Fumane il 20 giugno 1851, figlio unico di Giovanni Battista e della contessa Luigia Guantieri. I Pellegrini, originari di Negrar, erano una famiglia nella quale primeggiavano la passione e la competenza per tutto ciò che richiamava alla natura, oltreché essere, alcuni di loro, farmacisti di fama e di sicuro talento. Lo zio del Nostro, di nome Gaetano, fu paleoetnologo, uomo di cultura e di scienza molto noto oltreché padre dell’illustre linguista e letterato Flaminio, allievo prediletto di Giosuè Carducci. Il padre Giovanni Battista era un pubblico perito e questa sua professione lo aveva certamente fatto conoscere anche per i rapporti che intratteneva con Ettore Scipione Righi e con Gettulio Gettoli, prode combattente nell’esercito napoleonico, esperto di opere classiche: questi visse per molti anni nella casa dove Vittorio crebbe con la famiglia e da lui il giovane apprese l’amore per la cultura in tutte le sue bellezze.
Dopo le scuole elementari, frequentò l’Istituto Industriale e Professionale a Verona e terminò nel 1869. Tuttavia, già da tempo, il giovane aveva manifestato la sua tendenza di dedicarsi ai boschi, alla forestazione, all’amore per quanto la natura aveva messo a disposizione. Proprio nell’agosto di quell’anno, grazie alle forti sollecitazioni di Luigi Luzzatti, il Ministero dell’Agricoltura aprì il primo Istituto Forestale Italiano: nell’abbazia di Vallombrosa, luogo di bellezza unica, oggi nel comune di Reggello, provincia di Firenze, allora capitale d’Italia (attualmente, ma da molti anni, assorbito dalla Facoltà di Agraria dell’Ateneo fiorentino, con lo splendido Museo dei Semi). I corsi iniziarono il 15 agosto 1869: e, con Francesco Gottardi, Vittorio Pellegrini fu uno dei due della provincia di Verona, la quale pagava gli studi e il mantenimento dei frequentanti. La fiducia fu ben riposta per entrambi.
Fin dal 1872, appena uscito dalla Scuola di Vallombrosa che lo aveva formato quale “amministratore di boschi”, il Nostro fu collocato alla guida del distretto forestale di Caprino, dapprima come capoguardia, poi come sottoispettore cioè responsabile (dopo un brevissimo periodo a Bergamo). Certamente, per questo inizio di carriera, fu essenziale la guida dello zio Gaetano, professore di agronomia nell’Istituto Industriale, consulente del Ministero e della locale Camera di Commercio, accademico illustre e membro di varie commissioni legate alle coltivazioni di boschi e foreste. La provincia veronese, allora, era divisa in due distretti federali: uno con sede a Tregnago e l’altro a Caprino; quest’ultimo controllava una superficie molto estesa di boschi e pascoli montani: 25609 ettari costituivano i primi e 7856 erano quelli dei secondi. Bisogna tenere presente che entrambi i distretti, in quell’epoca, dipendevano dall’Ispettorato Forestale di Vicenza, non essendovi a Verona uffici forestali con giurisdizione sulla provincia.
Vittorio Pellegrini dimostrò subito la sua capacità, probabilmente innata, grazie all’amore che nutrì sempre per quella natura, oggetto di scarse attenzioni; già alla fine del 1874 il giovane responsabile del più esteso territorio boschivo veronese stese la prima relazione, letta presso l’Accademia di Agricoltura di Verona (della quale era socio corrispondente dal 27 dicembre 1873 e tale rimase sino alla sua scomparsa) il 13 marzo 1875, nella quale metteva in luce i problemi che gravavano sulla vastissima area a lui affidata: tagli abusivi del legname, scavo delle ceppaie, pascoli abbandonati, la pericolosità di torrenti abbandonati (primo fra tutti il Tesina, che scorreva pericolosamente da Castion mettendo in pericolo Garda), la desertificazione di alcune selve, la totale mancanza di alcuni alberi. La grande battaglia, tuttavia, ch’egli iniziò a combattere e della quale subì anche non pochi irriguardosi segni, fu contro l’inerte burocrazia, la sorda resistenza dei piccoli e grandi interessi, contro l’ignoranza e l’impassibilità di chi comandava. Egli cominciò e proseguì le sue iniziative – come scriverà nel 1913 sulla rivista “Pro Montibus” – in mezzo a mille difficoltà anche contro le amministrazioni comunali: prime, fra tutte, quelle di Ferrara di Monte Baldo e di Brentino Belluno. Per molti anni, soprattutto la prima di queste amministrazioni, non agevolò assolutamente il lavoro di Pellegrini il quale, sempre, guardò all’importanza del lavoro da svolgere piuttosto che alle rimostranze che, poi, si sarebbero rivelate sbagliate. Grazie anche ad alcune norme nazionali (citiamo, sopra le altre, quella del 4 luglio 1874 n. 2011 sui rimboschimenti) il giovane sottoispettore si attivò per realizzare veri e propri boschi di abete rosso, larice e pino nero: a Ime, ad esempio, luogo dove, grazie proprio a quanto aveva fatto Pellegrini, era previsto un luogo di ricovero e cura per malati di tubercolosi come avrebbero voluto Edoardo Bassini (v. questo Sito) e Roberto Massalongo (v. questo sito), che poi non avvenne. Mancando le materie prime, presenti a Vallombrosa, a Cuneo o a Vittorio (poi anche Veneto), egli fu tra i primi a creare un vivaio: cosa che andrà in porto solo nel 1893 dopo oltre sei anni di opposizioni dei comuni sopra elencati e quello di Caprino cui si erano aggiunti pure gli abitanti di contrade e villaggi; erano chiare e piuttosto precise le interessate e personali ragioni di coloro che non avrebbero voluto rimboschimenti, selve correttamente alberate e, soprattutto, la regimazione dei torrenti oltreché gli impianti di orti forestali: erano la creduta perdita di superficie pascoliva e quella reale degli affitti esosi della monticazione.
Vittorio Pellegrini non ebbe timore di nessuno; tutto ciò che oggi chiunque può toccare con mano, guardando e camminando sul Monte Baldo, fu merito di lui: toccò le scoscese pendici tra Ferrara e Brentino Belluno verso la Valdadige, la Val dei Molini, la Valsorda, l’orto di Novezzina (che diventò il vivaio più importante del territorio non solo veronese), l’orto di Ime e quello di Caprino. Furono anni di lavoro indefesso, intelligente: egli inghirlandò di bellezza e di vita il Monte Baldo, dette vita a questi luoghi che, senza un’avveduta accortezza, sarebbe stati dominio di frane, di desertificazione, di mancanza totale di tutto ciò che – soprattutto in questo periodo – si chiede al clima e al territorio.
Intanto, Vittorio Pellegrini era venuto ad abitare a Caprino; nell’agosto 1887 aveva sposato Maria Sometti nientemeno che nella cattedrale di Verona. Oltre che vivere nel centro della zona da lui curata, ebbe modo di conoscere il mondo culturale e scientifico veronese di allora: il quale, nelle persone quali Edoardo De Betta, Quintarelli, Martinati, De Stefani e molti altri, amava radunarsi nella Villa Cerù-Pellegrini che la moglie dello zio Gaetano Pellegrini aveva portato come propria dote a Rivoli Veronese; non era importante per il Nostro sapere se veramente Napoleone e Carlo Alberto avessero riposato in quella villa: furono, invece, autunni molto felici per lui che dal mondo scientifico veronese colse applausi e fiducia.
Uomo di notevole affabilità, colmò il dolore per non avere avuto figli con l’amore incondizionato per la silvicoltura, per gli studi naturalistici, per la sperimentazione sui territori, per il gusto di vedere valorizzato un mondo ritenuto assai povero dalla gente di allora. Dimostrarono questi requisiti umani anche i suoi molti scritti, soprattutto articoli e saggi, più che opere scientifiche molto lunghe.
A Caprino, anche per mostrare alla gente del luogo quale fosse la bellezza della natura circostante, creò un piccolo museo e un erbario in cui raccolse esemplari della flora, degli alberi, degli insetti boschivi, nonché di fossili e di rocce del distretto ch’egli dirigeva. Pellegrini possedeva uno spirito investigativo notevole: amava sperimentare espedienti nuovi per migliorare l’attecchimento delle pianticelle; volle provare – riuscendoci nel rimboschimento – l’introduzione di piante (oggi assai presenti e visibili) quali il pino nero austriaco, il pino d’Aleppo, l’abete rosso, la roverella, la rovere, il larice. Affrontò il problema, allora molto vivo, della situazione assai difficile della conciliazione tra pastorizia e selvicoltura: anche in questo riuscì grazie, pure, al carattere molto affabile e alla serietà con cui guidava le guardie boschive dipendenti da lui, migliorando – tra le altre cose – i boschi cedui allungando i turni e proteggendo, sempre, dal pascolo o dal foraggiamento abusivi.
Nell’attenzione e nel lavoro che Pellegrini poneva (lo aveva fatto presente già nella prima uscita pubblica presso l’Accademia di Agricoltura, Commercio e Arti (oggi di Agricoltura, Scienze e Lettere), agiva sempre attenendosi alle regole e alle leggi; in questo egli fu estremamente fortunato giacché, proprio nell’ultima parte dell’Ottocento, i nuovi governi italiani avevano emanato norme attente proprio nel settore al lui congeniale: nel 1877, la prima legge forestale organica che sostituiva le molte leggi ereditate dai vari staterelli preunitari, aveva dato mandato al Ministero dell’Agricoltura e Commercio (come si chiamava allora) di coinvolgere province e comuni a promuovere rimboschimenti e le sistemazioni idrauliche avvalendosi dei finanziamenti statali. Fu la nascita dei tanti vivai forestali e Pellegrini si attivò con una potenza sconosciuta (oggi, quello di Novezzina, a 1.235 s.l.m, in comune di Ferrara di Monte Baldo, sul versante orientale del Baldo a circa un chilometro dal confine con la provincia autonoma di Trento, appare come un vero e proprio orto botanico: dedicato a Vittorio Pellegrini).
Bisogna, anche, pensare alla situazione di quell’epoca: il carico umano e le difficoltà economiche dei montanari avevano assai ridotto le superfici boscate, riducendo assai sovente, i territori in veri e propri brandelli degradati, con luoghi del monte Baldo pressoché desertificati. Egli – lo si legge non solo nei saggi pubblicati, ma dal lavoro che fece – voleva frenare l’esodo degli abitanti e fermare l’erosione della montagna. Pensare alla bellezza che quel luogo offre, soprattutto adesso, richiama quanto lo stesso Pellegrini aveva voluto: creare un paesaggio per il turismo, valorizzare l’aspetto culturale, ridonare – non solo al Baldo, ma ad ogni valle – tutta la straordinaria vivibilità che meritavano; oggi se ne vedono le conseguenze felici e, allora, non conosciute. Nei suoi lavori, grazie anche all’affabilità del suo carattere, egli si servì delle guardie in maniera scrupolosa e assai amichevole.
Consapevole e meticoloso, l’ispettore non si lasciò mai condizionare, né scese a patti con chicchessia se tutto questo avesse compromesso il bene di tutti; ci basta citare un solo esempio: quando nel 1893 il comune di Caprino (che era pure il suo) chiese il benestare per potere effettuare degli scavi di ghiaia da destinare alla costruenda strada Rubiana-Lumini, il Pellegrini non si lasciò condizionare nonostante le notevoli “rimostranze”: il suo assenso fu negato e, anzi, pretese giustamente che, in ogni luogo, laddove fossero avvenuti degli scavi, si dovesse procedere subito con muri a secco di contenimento. E questo modo di comportarsi non venne mai meno.
Non va dimenticata, assolutamente, la tenacia che il Nostro appose per frenare i non pochi danni che i torrenti apportavano nelle occasioni delle grandi piogge: il Valsorda e, seppure assai meno, il torrente S. Severo non risparmiavano assolutamente la zona montebaldina e le valli; il lavoro assai preciso di tre ingegneri, che bene conoscevano non solo la zona ma anche, e soprattutto, i notevoli pericoli delle acque non regimentate (si pensi, ad esempio, alla piena dell’Adige del 1882 e a quanti mali compì il fiume), trovò l’autorità di Vittorio Pellegrini che finalmente vedeva compiersi uno dei suoi grandi desideri-doveri diretto alla salvaguardia della gente, dei boschi e delle terre: il responsabile-ispettore non concesse deroghe di nessun tipo. Già nel 1881, egli aveva pubblicato un saggio sul pericolo della non regimazione delle acque, soprattutto del Valsorda fornendo delle regole precise, come, nella realtà, dovrebbero agire – ancora oggi – tutti coloro che sono responsabili delle acque: raccogliere i vari scoli in apposito canale, rimboscare le frane, portare il letto del torrente al profilo normale, tenere sempre pulito il percorso.
Negli stessi periodi dei suoi lavori sui torrenti, Pellegrini aveva innalzato tre stazioni metereologiche per lo studio delle precipitazioni nel territorio veronese: una, sopra Caprino per lo studio del torrente Tasso, una a Spiazzi (quindi a 900 metri) per il medesimo corso d’acqua e il terzo sul monte Moscal per lo studio del bacino del Valsorda. Grazie a queste opere, egli venne premiato, con medaglie d’oro, nel 1903 a Verona e a Pallanza.
Nel 1898, a Torino, nacque la “Pro Montibus”: una federazione italiana o meglio un’Associazione ambientalista federativa italiana, voluta dal Club Alpino Italiano su pressione di botanici molto noti e nata per promuovere il restauro forestale delle montagne italiane. Di questa, che negli anni mutò nome (oggi “Natura alpina”), Vittorio Pellegrini fu uno dei primi soci e ne assunse la direzione per la provincia veronese. Egli stesso sulla rivista, uscita subito con questo nome e poi con altri fino a quello attuale che ricalca la denominazione, pubblicò una nutrita serie di saggi; nel 1909, ad esempio, quando l’Associazione si chiamava “Pro Montibus et Sylvis” il nostro botanico fu presente a Bologna in un convegno nazionale apportando il suo contributo come già aveva fatto nel 1903 a Roma dove aveva esposto la situazione del suo distretto caprinese; non mancò, nel 1903, ad un Congresso di Naturalisti sempre nella capitale con una memoria sull’anfiteatro morenico di Rivoli. Appare giusto ricordare che, grazie al convegno bolognese, furono gettate le basi per la costituzione del Corpo Forestale Italiano con un apporto rilevante della sua persona: la cosiddetta legge “Luzzatti” (n. 277/1910) riorganizzò il Corpo Reale delle foreste e promosse l’acquisto di boschi e terreni per la costituzione del demanio forestale. Il Nostro fu, anche, uno studioso attento e perspicace: pubblicò oltre una quarantina di saggi tutti relativi ai boschi, alle selve, ai concimi e a tutto ciò che poteva richiamare un lavoro che Pellegrini amò al di sopra di ogni altra cosa. Nonostante la presenza veronese, egli non mancò assolutamente di prestare la sua opera in altri luoghi: in Francia del sud per alcuni lavori di forestazione, a Messina contro la filossera, a Camaldoli nello straordinario paesaggio boschivo che l’attorniava, a Teramo lungo le valli dei torrenti, a Como.
La prima Festa Italiana degli Alberi fu celebrata a Torino il 18 settembre 1898; l’anno seguente fu introdotta nelle scuole italiane; la prima festa scolastica degli alberi nel Veronese si tenne sul Baldo il 5 maggio 1900 grazie a Vittorio Pellegrini che ne fu artefice e programmatore: oltre trecento studenti e professori oltreché responsabili delle scuole della provincia furono presenti raggiungendo Caprino in treno e inerpicandosi poi, a piedi, sul Baldo dove tutti vollero mettere a dimora le pianticelle che diventarono la prima vera foresta baldense. Nel 1910, per onorare l’illustre concittadino nonché artefice della ricostituzione boschiva del Baldo e delle zone contermini, il comune decise di fare svolgere la festa degli alberi proprio nel letto del Valsorda che accolse grandi e bambini mentre il fiume scorreva dolce e lieve come un tempo.
Nel 1899, anche a Verona prese avvìo la Cattedra Ambulante di Agricoltura, diretta da Tito Poggi e, dal nostro sottoispettore, fortemente sostenuta e voluta; nel 1903 egli fu uno dei giurati della Commissione giudicatrice sul concorso a premi per il miglioramento dei pascoli alpini della provincia veronese, dove risultò vincitore il Comune di Ferrara di Monte Baldo che aveva finalmente compreso – nonostante l’iniziale controversia – che quanto sosteneva il Pellegrini sarebbe stato un beneficio pressoché eterno.
Sul finire del 1906, Vittorio Pellegrini lasciò l’incarico di Caprino, passando ad assumere il ruolo d’ispettore capo a Salerno: alcuni articoli molto precisi – sempre sulla rivista di “Pro Montibus” – dimostrano la conoscenza ch’egli seppe fare anche con quei luoghi; nel 1909 fu trasferito ad Arezzo: si trattò del coronamento della sua lunga e onoratissima carriera; nel 1911 andò a Como. Il collocamento a riposo avvenne nel 1912. Ciò significò il ritorno a Caprino dove aveva la residenza, ma volle dire, anche, una continuazione quotidiana della sua attività totalmente gratuita a beneficio di quanto aveva fatto. Fondò e diresse pure l’associazione “Pro Montibus” a Caprino, per tutta la provincia e attirò molti grandi personaggi veronesi. Ottenne ulteriori riconoscimenti quali due medaglie d’oro per l’attività e, nel 1915, quello di Cavaliere della Corona d’Italia per i tanti meriti accumulati nel servizio.
Vittorio Pellegrini fu sempre attivo tanto che, in un articolo su di lui, egli fu definito “funzionario coltissimo, pieno di zelo e autore di pregiati lavori”. Non si gloriò mai di ciò che aveva fatto: era umile e silenzioso, si spense a Caprino il 4 febbraio 1927. L’orazione funebre, tenuta da Gianfranco Betteloni due giorni dopo, durante le esequie, fu una lode alla bellezza del suo lavoro: “Nella purezza di quell’aria, nel brillare e nel cantare delle acque correnti, dei profumi delle resinose verdi, nel riso eterno della natura noi riconosceremo le luci immortali della sua anima e della sua fede”. La moglie gli sopravvisse solo due mesi.
Il comune di Caprino Veronese gli ha dedicato una via, nella contrada Boi, e una lapide – accanto ai grandi del luogo – vicino alla piazza principale del paese.
Bibliografia: Francesco Dal Fabbro, La prima festa degli alberi in provincia di Verona celebrata il 5 maggio 1900 dal Liceo-Ginnasio “S. Maffei”: memoria dedicata a’ suoi alunni, Verona, Franchini, 1900; Tito Poggi, Relazione della Commissione di Vigilanza della Cattedra Ambulante per la provincia di Verona, Verona, Franchini, 1904; Antonio Gabbrielli, L’Associazione “Pro Montibus” (1898-1928), in “L’Italia forestale e montana”, vol. 59, 2004, n. 4, p 320-323; Luigi Messedaglia, Vittorio Pellegrini, in “Atti e Memorie dell’Accademia di Agricoltura, Scienze e Lettere di Verona”, 104, 1928, pp. X-XI; Vittorio Pellegrini (1851-1927): una vita per la selvicoltura veronese. Atti del Convegno Caprino Veronese-Verona 25 ottobre 2002, a cura di Ettore Curi, Verona, Fond. Cassa di Risparmio di Verona Vicenza Belluno e Ancona-Accademia di Agricoltura, Scienze e Lettere di Verona, 2003; Vittore Foradori, Pellegrini Vittorio, in Dizionario biografico dei Veronesi (sec. XX), a cura di G.F. Viviani, Verona 2006, pp. 630-631.
Giancarlo Volpato
***
Foto da:
archivio Virginia Cristini
archivio Graziano M. Cobelli