Pennac Daniel – “L’occhio del lupo”
…a cura di Elisa Zoppei
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Carissimi amici lettori rispolvero un altro vecchio libro dimenticato negli scaffali della mia biblioteca e lo risveglio dal suo forzato riposo perché lo considero un breve romanzo non abbastanza conosciuto, ma una delle storie più belle, intense e commoventi incontrate nel mio cammino di lettrice di educatrice. È considerato un polo avanguardista nella nobile campagna portata avanti del WWF a favore del lupo, cui se ne sono affiancati altri per sostenere con storie significative la necessità di impedire la scomparsa di questa creatura selvaggia, ma nobile. A parte nei “Fioretti” di S. Francesco d’Assisi, il lupo per i suoi misfatti nella tradizione fiabistica del passato appare spesso come nemico dell’uomo, mangiatori di bambini e di innocenti porcellini. Le fiabe di oggi hanno cambiato prospettiva e lo vogliono salvo da cattivi pensieri. Ugualmente tanta produzione letteraria nonché cinematografica (Balla coi lupi ne è un esempio) ce lo avvicina amichevolmente. Però questo breve romanzo o lungo racconto di Daniel Pennac ci mette in grado di capire dal di dentro l’“umanità” di questo animale, il suo senso dell’amicizia e della fedeltà.
Daniel Pennac
Note biografiche
Daniel Pennac è nato a Casablanca, in Marocco nel 1944. Suo padre era militare, per cui trascorse la sua infanzia girando per diversi paesi extraeuropei dall’Africa al Sud-Est Asiatico, tra cui Gibuti, l’Etiopia e l’Indocina. Con la scuola da ragazzino non aveva un buon rapporto, era un asino che faceva disperare maestri e genitori, tanto che fu messo per lunghi anni in collegio, dove qualche insegnante particolarmente illuminato gli comunicò la passione per la lettura. Gli si aprirono le porte della mente e della letteratura: lesse voracemente molti autori che oggi considera fondamentali per la sua formazione di insegnante e di scrittore, come Selma Lagerlof, Tolstoy, Dostoïevski, Lermontov, Thomas Hardy e Shakespeare. Un’eco dei queste sue letture di ragazzo rimane in Come un romanzo (Comme un roman, 1992).
Si laureò a Nizza in lettere nel 1969 ed ottenne il primo posto come insegnante a Soissons nel 1970, prima di trasferirsi a Belleville, quartiere periferico e vivacemente multiculturale di Parigi, dove ha insegnato fino a pochi anni fa. Il costante e quotidiano confronto con i suoi studenti gli permise di acquisire una specialissima confidenza con il linguaggio e con l’immaginazione dei ragazzi. Ed è proprio attingendo a questa esperienza che cominciò a scrivere racconti per giovani lettori iniziando così, negli anni Ottanta, la sua carriera letteraria scrivendo libri grotteschi per bambini. Divenne popolare con l’inizio della saga di Benjamin Malaussène, comprendente Il paradiso degli orchi (Au bonheur des ogres,1985), La fata carabina (La fée carabine), 1987, La prosivendola (La petite marchande de prose,1989) e Signor Malaussène (Monsieur Malaussène,1995). Sono tutti incentrati sulla figura di Benjamin Malaussène, di professione capro espiatorio, e sulla sua incredibile famiglia, e ambientati naturalmente a Belleville, dove anche le consuetudini e le manie dell’editoria e del mondo letterario vengono messe in ridicolo, con trovate grottesche a volte quasi da cinema d’animazione. Ha un vivo interesse per le tematiche dell’educazione specialmente letterarie, e della modernizzazione della scuola, come si nota anche in Signori bambini (Messieurs les Enfants, 1997).
Autore di grande inventiva, popolarissimo in Francia e nel mondo, oltre che nelle opere di narrativa, Pennac si distingue anche nella saggistica. Comme un roman, pubblicato nel 1992, ne rappresenta l’esempio più importante. Nella sua “Carta dei diritti del lettore”, la parte forse più famosa e divertente del libro, sono da segnalare – tra gli altri – il diritto di non leggere; il diritto di saltare le pagine; il diritto di rileggere; il diritto di leggere qualsiasi cosa; il diritto di leggere ovunque; il diritto di spizzicare; il diritto di leggere a voce alta e il diritto di tacere.
Diritti, certamente fondati sulla necessità di disobbligare bambini e ragazzi da certe inutili imposizioni della vecchia scuola, ma attenzione non vanno presi alla lettera: semmai sono da meditare, valutare e applicare con saggezza.
Con L’occhio del lupo Pennac ha vinto prestigiosi premi fra i quali nel 1993 il Premio Andersen e nel 2002 il premio internazionale Grinzane Cavour.
L’occhio del lupo,
Milano, Salani Gl’Istrici, 1998
Da giorni al giardino zoologico un ragazzo è fermo davanti al recinto di un vecchio lupo guercio e fissa lo sguardo senza distoglierlo sull’unico occhio aperto dell’animale, che va e viene, gira in lungo e in largo senza mai fermarsi. L’altro occhio l’ha perso lottando contro gli uomini e ora gli procura disagio che il ragazzo stia sempre lì davanti a lui, in piedi immobile e silenzioso seguendo il suo via vai lungo la rete della gabbia.
Quando Lupo Azzurro, accettando a sfida, decide di ricambiare lo sguardo si sente disturbato perché non sa bene in quale occhio del ragazzo fissare lo sguardo. Il suo unico occhio sano impazzisce e attraverso la cicatrice dell’occhio morto, spunta una lacrima di rabbia. Allora lo strano ragazzo, pastore di capre che narrava storie fantastiche nelle notti sahariane, fa una cosa curiosa che calma il lupo e lo mette a suo agio, chiude un occhio. Un gesto che significa “ora sono come te, parla ti ascolto”. Questa forma di sensibilità e delicatezza fa cadere ogni muro di diffidenza, ogni cortina di incomprensione. I due, uno di qua uno di là rimangono fermi occhio nell’occhio a parlarsi senza parole, a raccontarsi le loro storie di solitudine, di umiliazioni, di privazioni e di rabbia e a trasformarle in sensazioni di pace e di amicizia.
Entrano in dialogo due mondi diversi: il ragazzo raccoglierà dalla pupilla del lupo tutti i suoi segreti e i ricordi anche più lontani: i giochi e le storie della sua infanzia, la mamma dalla pelliccia nera, la vecchia nonna col pelo color argento, la caccia dell’uomo e tutti i giardini zoologici, tutti gli animali schiavizzati come lui, e Pernice la sua compagna di prigionia morta la settimana scorsa. Ora è solo, non gli interessa più niente.
Poi tocca al ragazzo raccontare la sua storia. Dalla profondità dell’occhio emergono i ricordi dolorosi di quella terribile notte africana: il fuoco le grida e Toa il mercante col suo dromedario pieno di sogni che gli aveva insegnato a ridere dentro. Poi le sere intorno ai fuochi quando raccontava storie bellissime ai carovanieri che sostavano nel deserto del Sahara. E continuò a narrare quando diventò pastore di capre. Erano storie così belle e le raccontava così bene che all’alba quando ognuno se ne andava per conto suo, era come se rimanessero insieme e i viandanti non erano più soli, la voce del ragazzo li accompagnava dappertutto nel deserto.
Sempre in viaggio da un’Africa all’Altra è giunto qui in questo paese dell’Altro Mondo, in questo giardino zoologico dove, come si usa nelle fiabe ritrova gli amici di un tempo e incontra per la prima volta lui Lupo Azzurro. E hanno cominciato a guardarsi e a raccontarsi.
È una storia di amicizia che nasce guardandosi dentro fino in fondo al cuore: una fra le più belle storie del nostro tempo, centrata sulla meravigliosa capacità di parlarsi attraverso lo sguardo. Le immagini nascoste nei loro cuori emergono dagli occhi e vengono reciprocamente colte mediante quel tipo di empatia che permette a due esseri viventi di appartenersi e affrancare la loro vita dal giogo di un passato di dolore e di violenza.
Commuove l’intrecciarsi del racconto fra il ragazzo e il lupo: qualcosa è cambiato nella vita di entrambi, qualcosa che li fa tornare a “vivere”. Si sono talmente sintonizzati che sanno tutto l’uno dell’altro: si sono capiti, hanno fatto amicizia, non hanno nulla da temere d’ora in poi. Il ragazzo sa che l’occhio del lupo è guarito da un pezzo, ma che non vuole più aprirlo per non vedere la tristezza del mondo che lo circonda. Ecco che allora si tappa un occhio pure lui, si mette nei suoi panni per vedere il mondo come lui lo vede, e perché non si senta più solo e capisca che può contare sulla sua compagnia.
Dopo che si sono incontrati, dopo che si sono parlati, possono guardarsi finalmente con tutti e due gli occhi e leggere i reciproci sogni.
Questo racconto è scritto con il linguaggio dell’amore vero e disinteressato fatto di sguardi: quelli di due esseri che s’incontrano e fanno un tratto di strada insieme parlandosi con una lingua interiore segreta e silenziosa, che illumina il loro cammino e riscalda la loro vita.
Buona lettura.
Elisa Zoppei