Pignatti Paolo
…a cura di Giancarlo Volpato
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Martire della Resistenza, comandante forestale, Paolo Pignatti nacque a Poggio Rusco (Mn) il 10 novembre 1895. Figlio di Eugenio e di Eva Paltrinieri, seguì, in tenera età, a Quistello (Mn) i genitori, entrambi insegnanti del paese.
Appena terminato il liceo, il 5 dicembre 1914 si arruolò – come volontario – nell’esercito, quale allievo ufficiale, nell’84° reggimento Fanteria; seguì la trafila dei gradi per diventare sottotenente il 9 settembre 1915. Combattente nella prima guerra mondiale, fu decorato con una prima Medaglia d’Argento al Valor Militare per un’azione molto pericolosa che portò all’avanzata della compagnia del proprio reggimento sul Monte Spil dell’Altopiano dei Sette Comuni vicentini, il 12 ottobre 1916; spostato sul Carso, tenente e comandante di una compagnia mitragliatrici del 69° Reggimento fanteria, nei terribili giorni che portarono alla disfatta degli italiani su quei monti, Paolo Pignatti si guadagnò la seconda Medaglia d’Argento al Valor Militare per essere riuscito, pure in deficienza di uomini rispetto agli austro-ungarici, ad aprire un varco trasportando in salvo uomini e materiali e sistemandosi per la difesa: fu la disperata battaglia di Flondar tra il 4 e il 6 giugno 1917 che aprì la strada alla più grande tragedia di quell’anno. Nominato capitano per meriti e valore l’8 novembre del 1917, egli era presente alla disfatta di Caporetto: fatto prigioniero, fu deportato nel campo di prigionia di Hajmáskér in Ungheria, riservato agli ufficiali italiani. Liberato nel 1919, fu posto in congedo illimitato nel novembre dello stesso anno.
S’iscrisse alla facoltà d’Ingegneria a Bologna, ma poi optò per la Facoltà di Agraria e si laureò solamente nel 1932, con una tesi di carattere forestale, poiché, nel frattempo, intraprese la carriera all’interno della neo istituita Milizia Nazionale Forestale: qui fece il percorso dei gradi diventando maresciallo maggiore il 1° dicembre 1926, poi “capomanipolo” subito dopo (1 gennaio 1927). Cessò di restare ufficiale di complemento, seppure a riposo, per assumere quello di capitano nel giugno del medesimo anno.
Dal 1927 Paolo Pignatti prestò servizio nelle sedi delle amministrazioni forestali: prima a Torino (1 gennaio 1927-24 marzo 1927), poi a Novara (25 marzo 1927-19 novembre 1932), a Gorizia (1 novembre 1933-14 dicembre 1935), ad Udine (15 dicembre 1935-11 giugno 1940) per giungere definitivamente a Verona; nel territorio veronese, occupò – a partire dal 15 dicembre 1940 – il posto di capo dell’Ufficio Amministrazione della foresta di Giazza.
Come noto, il territorio dell’alta Val d’Illasi, fu il primo, in Italia, del neo costituito Demanio forestale con legge Luzzatti del 2 giugno 1910; suddiviso fra Italia e Austria-Ungheria (i comuni di Selva di Progno e Ala) sino alla fine della guerra e poi diventato solo italiano, ma fra due regioni (Veneto e Trentino) esso è ricordato come il primo, lungimirante e splendido lavoro di riforestazione, di riequilibrio territoriale e di sistemazione delle acque: opera di Angelo Borghetti, fu inaugurato dall’allora Ministro dell’Agricoltura, Industria e Commercio Francesco Saverio Nitti nel IV gabinetto Giolitti (poi Nitti diventerà Presidente del Consiglio) il 10 agosto 1911. Questo luogo fu il primo nel quale egli manifestò la sua capacità.
Nella città scaligera, egli occupò il posto di Comandante della Coorte di Verona della Milizia Nazionale Forestale, 2° Legione.
Paolo Pignatti arrivò a gestire un lavoro che fu considerato un esempio di competenza progettuale, di abilità esecutiva dei forestali di allora: a lui competeva la risistemazione laddove necessaria, la continuazione del processo di riforestazione, la salvaguardia d’un bene prezioso e considerato una delle opere migliori che l’Italia del primo Novecento avesse fatto in questo campo, la cura d’un terreno non sempre facile che abbisognava di continue sollecitazioni. La sua opera, oltreché portare a termine i lavori messi in cantiere dal suo predecessore, Sante Vianello, si esplicò in ogni parte della provincia: massimamente per la sistemazione idraulico-forestale; si occupò di torrenti e di vai di ogni parte; a lui si devono i lavori nella Val Fraselle, ai torrenti della Val Tramigna, a quelli della Val d’Illasi e della Valdalpone; rimboscò i monti di Breonio e tutto ciò che riguardava la Valpantena bonificando integralmente il torrente Lena e lavorando sui vai creati dal torrente Negrar; a Ferrara di Monte Baldo fece sistemare il torrente Pissotte che aveva distrutto la Val Brutta; a Malcesine mise a posto tutto quanto riguardava il bacino dell’Alto Garda, non dimenticando il bacino dell’Adige nelle zone di Rivoli, della Val Sorda e dei vai della zona. In definitiva, nei quasi cinque anni nei quali passò la sua vita a dedicarsi al territorio veronese, non vi fu luogo che non abbia avuto la sua presenza fattiva e costruttiva.
Nel frattempo scoppiava la seconda guerra mondiale; Pignatti, anche per la divisa che portava, non fu esente dall’essere richiamato; dapprima lasciato a casa (era iscritto al Distretto militare di Mantova), fu, invece, inviato a combattere in Libia dove rimase un mese all’inizio del 1941; poi fu richiamato nel Raggruppamento motorizzato dei Forestali e mobilitato, il 3 marzo di quell’anno. Sette giorni più tardi s’imbarcò a Bari per andare in Albania e approdando a Durazzo con la propria compagnia: rimase per due mesi nei quali partecipò alle operazioni di guerra alla frontiera greco-albanese; nel maggio di quell’anno, ritornò in Italia e fu messo in congedo. La guerra attiva era, per lui, finita.
Il 30 ottobre del 1941 fu insignito del titolo di Cavaliere della Corona del Regno d’Italia e si era guadagnato una Croce di guerra.
Il suo lavoro, nella zona di Giazza e di Revolto, ma non solo, non venne mai meno: fu uomo attivo e sempre attento anche per la salvaguardia di un territorio che, per troppo tempo – com’era accaduto per molti altri luoghi – era stato utilizzato in modo sconsiderato.
Paolo Pignatti mantenne l’incarico sino al dicembre 1944.
Ma, prima di allora, in Italia era avvenuto l’8 settembre 1943. Uomo della milizia, soprattutto per il lavoro ch’era tenuto a svolgere, avrebbe forse dovuto piegarsi a quanto stava accadendo: ma egli non condivideva i princìpi e i programmi della Repubblica Sociale che aveva la sua sede a Salò ma con gli uffici a Verona.
Il capitano si avvicinò quasi subito ai partigiani. La testimonianza del figlio Alberto che, con il fratello Arturo, il padre aveva coinvolto, apparve sempre molto chiara e precisa: “Mio padre fin dall’inverno 1943, aderì al movimento partigiano, pure continuando a prestare servizio nella milizia forestale quale capitano. Noi eravamo a conoscenza e cooperammo con lui”. All’inizio di dicembre 1944, due ufficiali inglesi furono ospitati da Pignatti: erano venuti per cercare di uccidere un generale tedesco.
Come sempre aveva fatto nella sua vita, anche in questa adesione, egli fu sempre molto attento e preciso. Aveva aderito alla Brigata Valle Padana, composta di partigiani presenti nella Valle d’Illasi; in Lessinia aveva contatti con loro, cercando di tenerli lontani dai tedeschi, anche assumendoli o trovando un lavoro per evitare la coscrizione obbligatoria.
Su di lui, lasciò scritto il comandante Renzo Tassi: “Il Pignatti fu un mio buono e leale collaboratore dall’agosto del 1944 sino al giorno del suo arresto. Egli mi aiutò nel trasporto delle armi ed esplosivi, da Verona alle sedi della Brigata; mi fornì diverse armi e munizioni; per il trasporto del predetto materiale bellico, mise a disposizione il camion della Forestale da lui comandata: contribuì con denaro al soccorso dei bisognosi; partecipò con me a diverse azioni diurne e notturne”. Bisogna aggiungere ch’egli fu estremamente generoso con chi combatteva contro i nazi-fascisti fornendo loro anche assistenza ai bisogni di prima necessità quali il vitto e il rifugio: e, tutto questo, oltreché nella zona lessinica, anche a Poggio Rusco – dove esisteva un battaglione partigiano Valle Padana-zona di Verona – e nella bassa mantovana dava l’aiuto che gli era possibile.
All’inizio di dicembre 1944, due ufficiali inglesi furono ospitati da Pignatti: era venuti per cercare di uccidere un generale tedesco, come sopra detto. Il 2 dicembre, Paolo, Alberto e Arturo Pignatti (quest’ultimo era alla guida di un camion della forestale) erano insieme al maggiore John Stone: furono arrestati dalla polizia investigativa delle brigate nere che aveva sede vicino al Teatro Romano, su delazione dei fratelli Leonello e Romano Lodigiani di San Giovanni Del Dosso, un piccolo centro vicino a Poggio Rusco.
Vennero rinchiusi in carcere a Mantova e poi portati a Verona nelle prigioni “Al Redentore”. Scrisse il figlio Alberto: “il trattamento e le condizioni erano durissime: continui pestaggi (e mio padre con larghe ferite alla schiena), in 15 dentro un cubo di tre metri. Ogni tanto il prelievo per l’interrogatorio”. E ancora: “Era con noi Mario Salazzari (v. questo Sito), il grande scultore che fu seviziato orrendamente e che sentimmo urlare per giorni”. Il collega della forestale Vittore Foradori sapeva che Paolo Pignatti non avrebbe mai rescisso la propria idea pure essendo – non solo teoricamente – capitano della milizia forestale e la stessa cosa sostenne sempre Alessandro Canestrari (poi onorevole e figura di spicco oltreché Presidente dei Volontari della Libertà di Verona) quando lo incontrò in prigione. Così fu, infatti.
I figli che erano in carcere con il padre, furono sottoposti, come lui, ad un interrogatorio; Alberto fu rilasciato nel febbraio 1945, Arturo fu messo sul treno ed arrivò al campo di smistamento di Bolzano per essere inviato in Germania: nella città tirolese rimase sino al giugno 1945 e, poi, per la fine della guerra, ritornò a casa.
Paolo Pignatti fu sottoposto ad un processo-farsa alla presenza di un generale fascista per dare maggiore rilevanza, ma la cui sentenza era già dichiarata: era il 25 gennaio 1945.
Tre giorni dopo, poco prima dell’esecuzione, il tenente Bussinelli, che comandava la piccola ciurma di squadristi (e tutti della forestale) spiegò che il detenuto avrebbe dovuto essere colpito direttamente alla testa. Il capitano giunse nel vallo della caserma Passalacqua nel fossato delle mura, a lato della circonvallazione Francesco Torbido, su un’automobile grigia guidata da un suo dipendente, Italo Brunazzo che, quando arrivò, gridò con giubilo: L’è qua, l’è qua. Egli appariva sereno e indossava buoni indumenti; si girò verso gli uccisori e li riconobbe: “Anche voi siete qui?”, disse loro, nel silenzio assoluto della risposta. Costretto a togliersi il cappotto, dopo essere stato irriso dallo stesso milite con cui era arrivato, fece loro un sorriso: fu l’ultimo della sua vita; baciò il crocefisso che il cappellano militare gli aveva accostato. Il tenente dette l’ordine: partì la scarica mortale e l’eroe cadde all’indietro col cranio fracassato. Tutto era finito. Erano le ore 17.30 del 28 gennaio 1945 e Paolo Pignatti aveva, da poco, compiuto 49 anni.
Il 25 agosto dello stesso anno, il Comune di Quistello intitolava la piazza del paese al martire che era suo cittadino; poco dopo, una lapide lo ricordava a Poggio Rusco dov’era nato.
Verona gli ha dedicato due lapidi: una sul luogo del martirio ed una all’inizio di Via dei Partigiani a Porta Vittoria: entrambe assieme ad Aurelio Dal Cero, anch’egli assassinato, quale partigiano, nel medesimo luogo, l’11 febbraio 1945.
Questa manifestazione di ricordo avvenne con solenne cerimonia il 19 marzo 2005.
Dopo la guerra si tenne il processo ai nazi fascisti colpevoli, comprese le spie; non successe nulla, nessuno pagò: come fu prassi. A Lina Gazzotti, moglie dell’eroe ucciso, fu dato un diploma alla memoria da parte del Comandante Supremo delle forze alleate del Mediterraneo “quale gratitudine e riconoscenza”.
Bibliografia: La poca documentazione si trova in: Archivio di Stato di Verona, Corpo Forestale dello Stato. Ispettorato Ripartimentale di Verona, b. 2-3; Repubblica Italiana: Ministero della Difesa. Direzione generale per il periodo militare; Istituto per la Storia della Resistenza e dell’Età contemporanea, Verona, Fondo Zangarini, b. 1, fasc. 5 “Carte varie: Paolo Pignatti”. Sul periodo passato in guerra: Gianni Pieropan, Il contrattacco austro-ungarico sul Carso, in Id., Storia della grande guerra sul fronte italiano, Milano, Mursia, 2001, p. 25; Mario Silvestri, La piccola Caporetto, in Id., Caporetto, una battaglia e un enigma, Milano, Bur, 2006, p. 29. Sulla Resistenza: La luminosa offerta di Paolo Pignatti, “Verona libera”, Verona, 7 settembre 1945, p. 3; “Ho assistito alla fucilazione del capitano Pignatti”, “L’Arena, 30 novembre 1946, p. 27; Bartolo Fracaroli, Una spiata e per Pignatti fu il plotone d’esecuzione, “L’Arena”, 23 aprile 1983, p. 29; Giuseppe Anti, Un viale intitolato ai Partigiani, “L’Arena”, 15 marzo 2005, p. 20; Raoul Adami, Inaugurato a Verona il “Viale dei Partigiani”, “Patria indipendente”, 30 giugno 2005, p. XI; Maurizio Zangarini, Storia della Resistenza veronese, Verona, Istituto per la Storia della Resistenza e dell’Età contemporanea-Sommacampagna, Cierre, 2012, p. 176; Lino Rezzaghi, In memoria del Capitano Paolo Pignatti (a 75 anni dalla fucilazione), “L’Album: periodico d’informazione dal 1986”, Villa Poma (Mn), 29 gennaio 2020, pp. 20-21. Una piccola biografia è di Vittore Foradori, Pignatti Paolo, in Dizionario biografico dei Veronesi (secolo XX), a cura di G.F. Viviani, Verona 2006, p. 653.
Giancarlo Volpato