Levi Primo Michele – “Se questo è un uomo”
…a cura di Elisa Zoppei
Primo Michele Levi,
nell’ attestato di laurea conseguita nel 1941 è certificato «cittadino italiano di razza ebraica». Era nato Torino da genitori ebrei il 31 luglio del 1919 e l’11 aprile del 1987 venne trovato morto a seguito di una caduta ai piedi della scala della sua casa. Rimane insoluto il dubbio se sia caduto colto da malore improvviso oppure se abbia compiuto un consapevole gesto di libertà. Diplomatosi nel 1937 al liceo classico Massimo D’Azeglio, e si era poi iscritto al corso di laurea in chimica presso la facoltà di Scienze dell’Università di Torino. Le leggi razziali del ’38, istituzionalizzando la discriminazione contro gli ebrei, vietava il loro accesso alla scuola pubblica. Levi, in regola con gli esami, ebbe notevoli difficoltà nella ricerca di un relatore per la sua tesi: si laureò comunque nel 1941, a pieni voti e con lode. Cominciò così la sua carriera di chimico, che lo portò a lavorare e a vivere a Milano, dove in seguito all’occupazione tedesca, con altri amici, entrò nelle schiere partigiane antifasciste. Confessa di aver scelto la via della montagna, aggregandosi a una banda partigiana affiliata a «Giustizia e Libertà». Uno sparuto gruppo di gente spaventata, scrive, in cerca di protezione, di un nascondiglio, di un fuoco, di un paio di scarpe. Così, racconta, il 13 dicembre del ’43 fu facilmente catturato dalla Milizia fascista a Brusson e successivamente trasferito al campo di raccolta di Fossoli, dove iniziò l’odissea che gli cambiò completamente la vita. Nel giro di poco tempo, infatti, il campo venne preso in gestione dai tedeschi, che dopo alcuni mesi convogliarono tutti i prigionieri verso Auschwitz. L’autore fu deportato in Polonia, a Monowitz, vicino ad Auschwitz, in un campo di lavoro i cui prigionieri erano al servizio di una fabbrica di gomma. Al lager, persi nei loro pensieri, presi da mille domande, da ipotesi continue che per quanto catastrofiche, non si avvicinavano neanche lontanamente alla verità, si ritrovarono in pochissimo tempo rasati, tosati, disinfettati e vestiti con pantaloni e giacche a righe. Il loro compito era lavorare, mangiare, dormire, e soprattutto OBBEDIRE. L’intento di tutti era “sopravvivere”. Sul petto di ogni casacca fu cucito al posto del nome un numero, un marchio di riconoscimento. Dietro quel numero non c’era più un uomo, ma solo un oggetto: häftling, cioè “pezzo”. Se funzionava andava avanti. Se si rompeva, era gettato via. Levi fu l’häftling 174517. Funzionante. Riuscì a scamparla in virtù delle sue prestazioni lavorative, e a trovarsi vivo all’arrivo dei russi nel 1945. Una volta tornato a casa s dedicò totalmente alla scrittura e pubblicò romanzi racconti e poesie. Opere : Primo Levi, oltre a Se questo è un uomo, pubblicato prima nel 1947 da una piccola casa editrice e nel 1956 da Einaudi. ha dato anche un altro libro di memorie, La tregua (1963), ove racconta le non edificanti avventure e gli intricati viaggi che dovette sopportare per mezza Europa dopo la fine della guerra, prima di rientrare in patria dal campo di concentramento. La Tregua vinse la prima edizione del Premio Campiello. In seguito sempre con Einaudi Levi diede alle stampe altre opere: nel ’67 raccolse i suoi racconti in un volume intitolato Storie naturali sotto lo pseudonimo di Damiano Malabaila. Nel ’71 uscì Vizio di forma, nuova serie di racconti e nel ’78 La chiave a stella che vinse il Premio Strega. Nel ’81 fu pubblicata un’antologia personale dal titolo La ricerca delle radici nella quale erano raccolti tutti gli autori che avevano influito nella formazione culturale dell’autore. Nel novembre dello stesso ‘81 uscì Lilìt e altri racconti e nel successivo ‘82 Se non ora quando? che vinse il Premio Viareggio e il Premio Campiello. Nell’ottobre del ’84 pubblica Ad ora incerta e a dicembre Dialogo in cui riportò una conversazione avuta con il fisico Tullio Regge. Nel novembre dello stesso anno uscì l’edizione americana del Sistema periodico e nel gennaio del ’85 una cinquantina di scritti pubblicati precedentemente su diverse testate, raccolti in un volume unico intitolato L’altrui mestiere. Nel 1986 pubblicò I sommersi e i salvati. Primo Levi viene oggi annoverato fra i grandi autori classici italiani.
Se questo è un uomo
“Ero stato catturato dalla Milizia fascista il 13 dicembre 1943. Avevo ventiquattro anni, poco senno, nessuna esperienza, e una decisa propensione, favorita dal regime di segregazione a cui da quattro anni le leggi razziali mi avevano ridotto, a vivere in un mio mondo scarsamente reale, popolato da civili fantasmi cartesiani, da sincere amicizie maschili e da amicizie femminili esangui. Coltivavo un moderato e astratto senso di ribellione…..” Questo è l’incipit del romanzo autobiografico di Primo Levi. Se questo è un uomo è nato, come afferma egli stesso, dal bisogno di raccontare per far sapere al mondo, per sgravarsi di un peso interiore troppo grande, per scongiurare il pericolo che nel futuro la storia del genere umano possa tornare a macchiarsi di tanta spietata malvagità. Esso rappresenta anche la voce di coloro che non hanno potuto parlare, soprattutto delle donne dei bambini e dei vecchi che ignari, hanno dovuto piegare in silenzio la testa. Levi ci lascia una testimonianza lucida e inequivocabile della sua terribile e devastante esperienza: un crudo documento letterario, dove immagini tragicamente vere e perciò anche più atroci, solcano i cieli del nostro tempo portandoci le grida soffocate dal dolore degli Ebrei deportati e sterminati nei lager nazisti. Il racconto sviluppato attorno alle numerose figure dei compagni di prigionia restituisce ognuno di essi con la sua storia e il suo diverso modo di reagire alla dolorosa realtà del campo di concentramento. Pochi di loro saranno ancora vivi insieme al Nostro all’arrivo dell’esercito russo, nel 1945, che provocherà la fuga dei tedeschi e la liberazione dei prigionieri Momenti tratti dalle pagine Nella notte nera della partenza, convogliati verso una meta ignota non ebbero nemmeno tempo di chiedersi a che cosa stavano andando incontro, presagendo nell’intimo la loro condanna a morte. Questo libro è il loro pianto che ci raggiunge come un monito: “Ognuno si congedò dalla vita nel modo che più gli si addiceva. Alcuni pregarono, altri bevvero oltre misura, altri si inebriarono di nefanda ultima passione. Ma le madri vegliarono a preparare con dolce cura il cibo per il viaggio, e lavarono i bambini, e fecero i bagagli, e all’alba i fili spinati erano pieni di biancheria infantile stesa al vento ad asciugare; e non dimenticarono le fasce, e i giocattoli, e i cuscini, e le cento piccole cose che esse ben sanno, e di cui i bambini hanno in ogni caso bisogno. Non fareste anche voi altrettanto? Se dovessero uccidervi domani col vostro bambino, voi non gli dareste oggi da mangiare?” Con il cuore accorato da questa struggente immagine ci apprestiamo ad affrontare il calvario del viaggio: erano 650 stipati in fetidi vagoni merci, chiusi dall’esterno, e dentro “uomini donne bambini, compressi senza pietà, come merce di dozzina, in viaggio verso il nulla, in viaggio all’ingiù, verso il fondo….. “Soffrivamo per la sete e il freddo: a tutte le fermate chiedevamo acqua a gran voce, o almeno un pugno di neve, ma raramente fummo uditi; i soldati della scorta allontanavano chi tentava di avvicinarsi al convoglio. Due giovani madri, coi figli ancora al seno, gemevano notte e giorno implorando acqua. Meno tormentose erano per tutti la fame, la fatica e l’insonnia, rese meno penose dalla tensione dei nervi: ma le notti erano incubi senza fine. Pagina dopo pagina, Levi ci rende testimoni delle inenarrabili brutalità subite da un numero spropositato di persone che non si erano macchiate di alcun delitto se non quello di non appartenere alla razza ariana. Il racconto si fa sincopato rotto dai singulti della nostra rabbia impotente mentre assistiamo all’umiliazione di quei corpi addossati l’uno all’altro, legati insieme dalla sventura, e ascoltiamo notte dopo notte, fra bisbigli e grida, le parole di chi si sente fuggire via la vita. L’arrivo alla meta segnata ci fa rimanere impietriti di orrore. Dopo il quarto giorno di quel lento viaggio infernale pieno di soste estenuanti, il treno si arrestò in mezzo a una pianura buia e silenziosa. Era notte alta, e in fretta e furia tutti gli uomini validi furono radunati in un gruppo, mentre gli altri, le donne, i bambini, e i vecchi, sparirono alla vista come inghiotti nel buio. Scomparvero così, nel nulla in un istante, senza saluti. Molto più tardi si seppe che quelle “selezioni” frettolose concedevano di rimanere vivo solo a chi appariva in grado di lavorare utilmente per il Reich. Si seppe che dei 650 passeggeri di quel convoglio solo novantasei uomini e ventinove donne entrarono nei lager tedeschi e che di tutti gli altri non uno era vivo due giorni più tardi. Se questo è un uomo scritto d’un fiato dopo il ritorno, sotto l’onda di appunti e ricordi vivissimi, ha suscitato commozione e interesse in tutto il mondo, non soltanto per la denuncia delle agghiaccianti scelleratezze compiute contro il popolo ebreo, ma anche per il tono del racconto, misurato e coinvolgente, pieno di dignità morale che dà rilievo alla tragedia senza caricarne le tinte, che esprime paure e speranze senza risentimenti e artificiosa retorica.
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