Pubblicazione del libro – “Bonaparte e Verona”… di Giancarlo Volpato… segnalazione a cura di Aldo Ridolfi – 108

…a cura di Aldo Ridolfi

VERONA

Giancarlo Volpato, “Napoleone poco conosciuto: uno scrittore mancato?”, in Bonaparte e Verona. Agli albori della grande ascesa: da giovane ufficiale a Napoleone, Atti del Convegno, a cura di Luca Gandini e Giancarlo Volpato, Mantova, Sometti, 2024, pp. 145-186.

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Giancarlo Volpato

1787-1806: tale è la parentesi temporale del Napoleone scrittore. È in questo ventennio – che corre tra i diciotto e i trentasette anni – che il Bonaparte manifesta la sua vocazione letteraria. Nella quale cronologia, peraltro, Volpato intravvede uno iato dopo il 1795 che gli fa dire essere la ripresa del 1806 un ritorno ad una vocazione sopita ma non scomparsa. Comunque sia, Volpato ripercorre i testi con dovizia metodologica e, anche, con amore. Egli cita, ad illustrare il suo approccio, Leonardo Sciascia il quale aveva scritto: «Napoleone diventò quello che tutti sanno, ma non riuscì a diventare quello che nel suo intimo desiderava: un letterato». E non si trattò di un interesse effimero: principia quando è un tenentino diciottenne e termina all’indomani di quella che è forse stata la sua più geniale vittoria, quella di Austerlitz. Un percorso, quello indagato da Giancarlo Volpato, che si snoda dal fascino romantico di una fanciulla infreddolita, alla complessa figura di Giulio scaturita – se dalla sua fantasia o se da un fatto reale, non è chiaro – quando già il grande condottiero si preparava ad affrontare la IVª coalizione. Non capriccio fugace, dunque, la passione per la letteratura, non una fuggevole, superficiale esperienza, ma un persistere nel tempo e nella volontà del generale còrso. Volpato segue proprio questa “via parallela” dell’imperatore. Lo fa senza esprimere giudizi: «Sui giudizi dell’uomo come scrittore, non appare nostro lavoro cimentarsi», ma formulando, tuttavia, considerazioni che non solo illuminano l’arco letterario dell’imperatore ma che lasciano trasparire, in almeno un paio di scritti, una misteriosa corrispondenza tra la biografia napoleonica e le sue invenzioni letterarie: è questa una delle osservazioni più importanti e più intriganti – a mio modesto parere – del saggio di Volpato. Giusto per fare un esempio, prendiamo il romanzo Clisson et Eugénie del 1795. Clisson è un giovane e geniale generale francese che sposa Eugénie, giovanetta richiamante «la musica di Giovanni Paisiello, la cui melodia trasporta e appassiona». Ma, ahinoi, non si trattò di amore eterno e ciò indusse il glorioso generale a gettarsi a capofitto nella battaglia e perirvi. Ben si adatta a questa situazione, come ad altre, la misteriosa e allo stesso tempo svelante espressione: “Les secrets des cloîtres sont impénétrables!” (p. 181). E qui vi è lo stretto legame della finzione letteraria con la realtà: Napoleone lasciò la fidanzata Eugénie-Désirée Clary appena si rese conto dell’incompatibilità di quell’amore con il suo destino di militare. L’arte come vita, o la vita come arte.

Tutto questo per la cronaca. Parziale, tuttavia, e incompleta.
Altre, molte altre, sono le valenze rinvenibili in questa quarantina di pagine.
Innanzitutto: porgiamo orecchio al dipanarsi della prosa, al formarsi del pensiero sulla carta. Tutti noi ricordiamo la forza del manzoniano “Ei fu.” E, subito sotto, “stette la spoglia immemore”. Manzoni usa il passato remoto, tempo che rinvia ad un evento avvenuto in un passato concluso; la lontananza è temporale ma anche psicologica e quasi, trascorsa la memoria dell’evento, si può approdare ad una sua rimozione. Anche Giancarlo Volpato usa il passato remoto: «Il giovane militare fu tentato dalla scrittura», ma l’approdo è diverso: qui quel passato non è rimosso, non è museificato, non è cristallizzato. Tutt’altro, in queste pagine si assiste al recupero di una dimensione della personalità dell’imperatore che ce lo avvicina e ce ne svela un lato che in qualche maniera umanizza il militare. Decisamente, quando la storiografia ha accolto in sé una pluralità di fonti, rifiutandosi di raccontare il passato con il solo ricorso dell’événementielle ha compiuto un passo avanti decisivo.
Su questa strada, ascoltando non le trombe della carica, ma, se mai, i silenzi di Sant’Elena, corre il piacere di sottolineare l’uso che Volpato fa dei “forse” e dei “probabilmente”, termini che usa generosamente e che assumono, ai miei occhi almeno, una profonda, intima adesione a “quel” Napoleone pochissimo noto, a quello scrittore mancato. Infatti, la quantità del materiale disponibile non consente certezze granitiche né disegni critici definitivi. In altre parole, ben lungi dal rappresentare un’impasse nella ricerca, quegli avverbi assumono perfino una valenza epistemica, una lezione metodologica, una sospensione del giudizio, elementi che aggiungono un fascino, anche “misterioso”, alla figura di Napoleone Bonaparte.
Ancora: Volpato non si stanca di ricordare la grande passione del generale còrso per la lettura. Ce lo ricorda, per esempio, con le parole di Betsy Balcombe: «Napoleone era un lettore onnivoro, anche di romanzi di intrattenimento e un costruttore di biblioteche» (p. 148). E, poco più avanti, l’Autore lo definisce «giovane coltissimo» (p. 151), riposando la sua preparazione su autori che andavano da Cesare a Voltaire, da Cicerone a Corneille. Ed è Vittore Branca che ci ricorda essere stato proprio Bonaparte a promuovere, tra il 1802 e il 1814, una collana dedicata agli autori italiani che raggiunse i 255 volumi.
Ma c’è un’ultima cosa che non riesco a tenere per me, ed è che qui (come altrove, in diverse occasioni) vi è – al di là e oltre il Napoleone letterato – un altro protagonista di assoluta levatura, ed è il Libro. Raccontando la passione letteraria del condottiero forse più noto della storia (c’è chi sostiene che su di lui siano stati scritti 250 mila volumi!), Volpato eleva un inno al pianeta libro. Il metodico, preciso, perfino affascinante percorso che egli intreccia tra libri, autori, curatori, editori, date e luoghi di edizione, talvolta anche la loro collocazione, spesso essenzialmente ragionandoli, ci dice, questa volta sì, senza se e senza ma, che questo “oggetto” è ancora insostituibile e di esso abbiamo assoluto bisogno. La storia di un libro, le sue vicissitudini, la sua personalità hanno dignità pari alla storia di una persona. Perciò Volpato ha voluto avere tra le mani per scrivere queste pagine anche Il mio amico Napoleone di Betsy Balcombe.
Tutto questo entro una cornice che muove da Verona, città significativa per l’ascesa del Nostro (Giacomo Girardi), e passa per Rivoli ove sono necessari ben sette aggettivi per definire l’acume strategico del generale (Andrea Rispoli). Ed è proprio su quel plateau che ci appare, come in un film, la notte gelida del 14 gennaio 1797 (Luca Gandini). Completano la cornice un orologio – che forse non si è ancora fermato – perfetta metafora delle vicende della storia napoleonica (Nicoletta Marini d’Armenia), e gli affascinanti diorami in tema con Verona e Napoleone (Giorgio Frildini).
Ma queste sono altre storie, sono lì, nel volume appena nato: attendono pazientemente di essere lette, contano che ciò accada anche in tempi di tablet imperanti.

Aldo Ridolfi

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