Puntata 38 – “Nuovi narratori”
…a cura di Laura Schram PighiPer le tue domande, opinioni o suggerimenti
scrivi a >>> lpighi@tin.it
Puntata 38 – “Nuovi narratori”
Nella esuberante fioritura di narrativa che arricchisce la cultura italiana tra Otto e Novecento, tra le svariatissime mode e tendenze, delle quali vi ho indicato solo le più significative, spiccano due artisti per la loro capacità di proporre nuove vie alla letteratura.
Aldo Palazzeschi (1885-1974) pseudonimo di Aldo Giurlani, fiorentino, riesce a fondere nella propria espressione linguistica, la comicità con la fantasia per portare il lettore in realtà “capovolte”. Egli basava la sua arte di poeta e di narratore su cultura ed esperienza teatrali e questo lo portò ad aderire al primo e più radicale Futurismo. Nell’Incendiario (1910) Palazzeschi esprime una violenta ribellione contro tutta la cultura letteraria del suo tempo, scegliendo di proposito, anche col cambio del proprio cognome, una posizione di escluso ed emarginato.
Si metterà contro anche al Futurismo, quando Marinetti cominciò ad esaltare un nazionalismo guerriero del tutto contrario al proprio sincero pacifismo, e ancor più quando i futuristi aderirono al Fascismo. La conseguenza di questa scelta fu una lunga esclusione dai circoli della critica e della editoria. Che si riconciliò con lui solo quando Palazzeschi scrisse dei romanzi tradizionali di tipo intimista. Allora furono eliminate dal circuito librario soprattutto le sue opere giovanili.
In realtà Palazzeschi non tradì mai la sua vocazione incendiaria e continuò a riflettere su tutte le grandi questioni che travagliavano l’Italia, come pace e guerra che troviamo in Due imperi mancati, la scuola per gli italiani futuri nel Manifesto del contra dolore (1914), la religione nell’Inno alla Vergine e nella cristologia del Codice di Perelà (1911), la nuova società italiana in Bestie del ‘900.
Ciò che distingue Palazzeschi dai suoi contemporanei sia in poesia che in prosa fu uno straordinario funanbulismo linguistico, da vero giocoliere della parola. Egli portò l’italiano a capacità espressive che superavano anche quelle raggiunte dalla poesia di Pascoli che rimase sempre un suo modello.
Vi consiglio di prendere in mano i tre volumi delle sue opere complete editi da Mondadori (1958) e scoprirete uno scrittore molto più ricco e profondo di quanto si conosca dalla scuola. Tra la tanta ottima critica recente su Palazzeschi vi consiglio lo studio di Walter Pedullà Il ritorno dell’uomo di fumo. Viaggio paradossale con Palazzeschi in un paese allegro e innocente. (Venezia, Marsiglio, 1987).
Di poco più giovane di Palazzeschi ma non meno determinante per la narrativa del Novecento, compare una singolare figura di artista che Papini presenta nel 1919 nei suoi Ritratti italiani definendolo homo novus: era Alberto Savinio (1891-1952) pseudonimo di Andrea De Chirico (per distinguersi da suo fratello Giorgio, il famoso pittore). Savinio era già noto nella cerchia dei giovani letterati, quelli che collaboravano alle innumerevoli riviste, anche prima della grande guerra, ma quando nel 1919 esce Hermaphrodito, una raccolta di prose, allora Papini capì subito di trovarsi di fronte ad un artista del tutto nuovo. E così lo presenta:
Scrive in italiano (e anche francese) e non è uno scrittore ma un musicista (…) è poeta e umorista (…) è nato ad Atene di madre genovese e di padre siciliano, non si chiama Alberto e neanche Savinio (…) è passionate pelgrim dalla Grecia all’Italia dall’Italia alla Baviera, dalla Baviera a Parigi, di musica in musica, di letteratura in letteratura.
Savinio inserisce la sua esperienza di vita internazionale nel clima ancora provinciale della letteratura italiana, insofferente delle tradizioni ma ancora incapace di trovare nuove vie che indichino nuovi orizzonti. Continua Papini:
un pezzo comincia in italiano e seguita in francese; isolotti di versi s’avvistano in mari distesi di prosa; i dialetti, la lingua franca, il greco, lo spagnolo, spiccano sulla stoffa italiana come scherzi di conterie sopra un mantello unito; la lirica metafisica dà il posto all’erotica fantastica; un giornale di viaggio finisce in ode e le danze dell’immaginazione storica sdrucciolano a poco a poco nella narrativa umoresca, nella volata fantasista, nella pittura di paese, nella pura musica delle parole rimbalzanti tra terra e cielo, come supreme girandole di un firmamento giovanile riconciliato. Questa apparente confusione sempre nella tonalità della parodia e della satira significa la messa in crisi di tutte le regole accademiche, di tutta la letteratura paludata, quella che si prende troppo sul serio. Per André Breton e la critica francese i due fratelli De Chirico erano stati gli iniziatori del surrealismo, e Papini s’illudeva che il giovane letterato che apparteneva alla “famiglia francese” ossia europea, venisse notato e ammirato dalla critica italiana. Ma quando nel 1993 Salvatore Battaglia presentò una raccolta delle opere di Savinio Torre di guardia, e scrisse la prefazione alla riedizione di Tutta la vita curata da Leonardo Sciascia fu costretto a mettere Savinio in cima alla lista degli autori ignorati dalla critica italiana assieme a Bontempelli e Landolfi, a Libero de Libero e a Palazzeschi.
Sciascia conclude “Non c’è scrittore italiano tra gli italiani, più straniero di Savinio”.
Savinio apparteneva alla generazione di Papini, Prezzolini, Palazzeschi e di molti futuristi fiorentini e milanesi che avevano dato le loro prime prove, spesso le migliori, prima della grande guerra, e si ritrovarono come naufraghi sopravvissuti alla tempesta, dopo la grande guerra, quando il mondo era oramai cambiato.
Quale letteratura sono riusciti a trasmettere alle nuove generazioni? …naufraghi sopravvissuti alla tempesta, arrivati su di una isola deserta.
Laura Schram Pighi