Puntata 42 – CAMPI D’ENERGIA UTOPICA: “La lingua universale”
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42- La lingua universale
Seguire lo svolgersi della prosa narrativa italiana anche per un breve segmento di tempo, e in una sola delle sue varianti, quella di fantasia e di utopia, significa osservare lo sviluppo della lingua italiana come strumento espressivo di una realtà storica e sociale che passa da un’antica frammentazione ad una unità politica, da più lingue e dialetti ad una sola lingua nazionale.
E qui è d’obbligo ricordare Dante, non solo per aver proposto e creato una sola lingua per una società futura (il volgare illustre) ma per averne anche previsto la naturale evoluzione negando all’idioma di Adamo lo statuto di lingua perfetta ab origine. Nel De vulgari eloquentia (1303) e nel Paradiso XXVI, 124-38 Dante presenta Adamo come il primo uomo inventore di un “idioma ch’usai e che fei” (v. 114). La formazione delle lingue è per Dante una prerogativa umana, e l’uomo come tale è capace di trasformarle e rinnovarle adattandole alla sua realtà.
In quella narrativa di fantasia che abbiamo incontrato dal Sette al Novecento, possiamo cogliere in chi immagina città future, quindi comunità umane dotate di linguaggio, anche la proposta di una lingua universale?
Sintetizzando i suggerimenti che vengono dai documenti che vi ho segnalato, destinati ad un pubblico di lettori sempre più numerosi, possiamo cogliere tre proposte per un italiano futuro.
Una prima proposta presente fin dalle utopie settecentesche, prevede nel futuro degli italiani una lingua inventata, artificiale, uguale per tutti, adatta alla più vasta comunicazione (lavoro, commercio, viaggi) per poter vivere in pace (Seriman, Casanova). Questo modello continua anche nelle utopie tra Otto e Novecento caricandosi di significati politici. Se ne trova traccia anche fuori dai testi letterari di tipo narrativo, basta sfogliare il Dizionario delle lingue inventate di Alessandro Bausani (Roma, Ubaldini, 1974). Tra le proposte più fortunate egli ricorda il buon successo italiano ed europeo dell’esperanto e segnala anche altri due progetti simili: uno del famoso linguista Graziadio Isaia Ascoli (1829-1907) che in un articolo sulla Pasitelegrafia (Trieste 1851) elabora un linguaggio numerico adatto alla comunicazione tra tutti gli uomini. E anche un secondo, suggerito in quegli stessi anni da un altro uomo di scienza e notissimo scrittore Paolo Mantegazza (1831-1910) che scrive L’anno 3000. Sogno, oggi (Bergamo, Lubrina, 1988) dove l’autore porta in volo i due protagonisti per visitare il teatro di Andropoli, e assistere ad una recita in “panglosso” la nuova lingua cosmica.
Un’altra proposta di lingua universale, viene da un grande matematico italiano, Giuseppe Peano (1858-1932) autore di una lingua artificiale su base latina che egli presenta in un Vocabulario commune ad linguas de Europa (Torino, 1909). Peano è stato il fondatore di una Accademia pro interlingua che fu a lungo attiva in Olanda, ad Utrecht dove si pubblicava un suo bollettino fino al 1960.
Anche i futuristi italiani proposero una lingua adatta al futuro, composta però da soli rumori ma suggerirono soprattutto la completa Distruzione della sintassi (1913). Un gioco continuato fino a Bruno Munari (1907-1998) che scrive un’opera, Fantasia nella scrittura illeggibile di una popolo sconosciuto, o Tommaso Landolfi (1908-1979) che nel suo Dialogo dei massimi sistemi (1937) cita una poesia in una lingua inesistente che inizia così “Aga magera bifura…” In fondo la lingua dei computer non è altro che una lingua artificiale, un sistema di segni per la comunicazione planetaria in tempo reale. Il linguaggio degli SMS tanto usato dai giovani di oggi è solo una combinazione di numeri.
Laura Schram Pighi – (42 continua)