Rama Gino

…a cura di Graziano M. Cobelli

Poesia

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Gino Rama

Gino Rama è nato a Tregnago (Verona) il 26 giugno 1928. Ha tre anni quando la sua famiglia si trasferisce nella campagna tra Monzambano e Ponti sul Mincio, in località Monticelli. Il Mincio vicinissimo e il Cimitero davanti al quale deve passare per raggiungere il paese, diventano ben presto luoghi a lui familiari.
Con notevoli sacrifici e difficoltà familiari frequenta il Liceo Classico prima a Desenzano, poi a Verona. Riempie un quaderno di versi che, pur risentendo l’influenza dei poeti studiati, dimostrano una certa dimestichezza con la poesia.
Giunto al penultimo anno pensa di conseguire un diploma che gli permetta di lavorare subito; lascia perciò il Liceo e si presenta come privatista agli esami di Maturità Magistrale. Inizia quindi, dopo un breve tirocinio, la sua attività di maestro elementare. S’iscrive all’Università Cattolica di Milano con l’intenzione di laurearsi in Pedagogia. Gli manca un solo esame che non darà mai, sia perché la laurea lo interessava relativamente, sia perché l’impegno politico era ormai preponderante.
A venticinque anni sposa Isa Tosi e si trasferisce a Monzambano. È profondamente credente e, sin da giovane, rende concreta la sua fede in Dio nel contatto con gli altri, nell’aiuto morale, nel servizio sociale. Si dedica all’attività politica con intensa passione, senza tuttavia mai venir meno a quel senso d’equilibrio che gli derivava dalla sua precoce maturità. Mantiene nel frattempo sempre vivo l’interesse per la cultura occupandosi prevalentemente di storia e di economia.
Nel ’60 viene eletto sindaco di Monzambano e resta in carica per tre amministrazioni. La sua vita è divisa tra politica, famiglia e scuola. La famiglia, che si è intanto arricchita di quattro figli; la scuola, dove Rama si trovava a suo agio grazie a quel clima di confidenza che era solito instaurare con gli alunni e le famiglie; e, quando poi gli restava un momento libero, lo dedicava alla “costa”…
Muore il 26 gennaio 1977 a Monzambano per un male incurabile, aveva 49 anni.

È TEMPO DI MORIRE

I ricordi, brandelli di vita sparsi sui rovi,
sono risorti, sono diventati carne
e giocano festanti e seri nella mia casa.
Sono sepolto, schiacciato nel presente.
Ecco il latte materno,
ecco un piccolo schivo bacio,
che attesi mi scendono nel cuore.
Ecco uno schiaffo doloroso
per aver mangiato l’uva del vicino.
Il primo quaderno di scuola
percorso da incerta mano.
Il primo timido palpito d’amore:
un viso caldo che mi soffoca.
Il grande meriggio con i suoi volti contorti.
Mi diceva mio padre:
– Quando tutto è qui,
e non c’è più passato,
capirai di non aver vissuto.
Allora è tempo di andare,
è tempo di morire.

***

SERENITÀ

Ho amato i miei fratelli
come un falco che uccide per i figli,
senza chiedersi se è giusto.
Li ho trovati fustigati dalla fame,
curvi sotto il peso di servile silenzio,
ammucchiati in tuguri infestati.
Dovevo trovare un pane, costruire una casa,
senza chiedere dove, senza chiedere come,
solo obbedendo alla legge del bisogno.
Cento giovani fanciulle seminavano
gli anni e l’onore in paesi sconosciuti.
Dovevo ributtarle fra le braccia delle madri,
rigenerare il loro cuore, rifare il loro volto.
E finalmente i miei fratelli
poterono ergersi liberi.
Ma quando il mio sguardo si struggeva
alla ricerca di più alte prode,
ho sentito le carni trapanate
dalle cure degli amici,
ho sentito il sangue scendere pesante
nelle viscere e bruciarne le radici.
Poi… secco il cuore, dissolta la mente,
bianche ossa di uno scheletro disgiunto,
vuoto pianto di chi non ha più lacrime,…
Ora… serena visione di affanni lontani.

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