RICORRENZA… Verona: “27 gennaio: 80 anni tra memoria e storia”.

…a cura di Maria Rosanna Mucciolo

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VERONA: “27 gennaio: 80 anni tra memoria e storia”.

Auschwitz

Scrivere un articolo su Auschwitz è importante, altrettanto importante è riflettere sugli errori della guerra, ma anche sui tanti genocidi della storia dell’umanità. Inizio questa riflessione citando Primo Levi: “Si ricordi il tatuaggio di Auschwitz, che imponeva agli uomini il marchio che si usa per i buoi; il viaggio in vagoni di bestiame, ma aperti, in modo da costringere i deportati (uomini, donne e bambini) a giocare per giorni nelle “lordure”; il numero di matricola in sostituzione del nome; la mancata distribuzione di cucchiai, per cui i prigionieri avrebbero dovuto lambire la zuppa come cani”. Parole atroci che ci fanno riflettere a distanza di anni, 80 anni, su quello che è stato l’antisemitismo e il pogrom (sommosse popolari verso minoranze religiose avvenute nel corso della storia) nella Germania di Hitler. Lo scoppio della seconda guerra mondiale estende la persecuzione antisemita a tutta l’Europa e in questa opera di persecuzione e di sterminio, i nazisti possono contare sui “regimi collaborazionisti”, come quello romeno e ungherese. L’intento di Hitler è quello di annientare il popolo ebraico e incomincia a delinearsi l’idea di “soluzione finale” che prevede lo sterminio di massa, pianificato e organizzato nei minimi dettagli. In nessun documento dell’epoca troviamo scritto quando “sia stata presa l’atroce decisione”, ma viene deciso con lo scoppio del secondo conflitto mondiale: dapprima con la deportazione di massa, ma poi il Fuhrer prende consapevolezza che “per il suo spazio vitale” deve effettuare una bonifica della razza inferiore. Per attuare “la soluzione finale” vengono allestiti numerosi campi di sterminio o lager. All’arrivo nei lager i deportati vengono divisi in 2 file: a destra quelli condannati al lavoro coatto, a sinistra i condannati a morte (vecchi, malati, donne e bambini). Dopo aver lasciato i bagagli e spogliati dei loro vestiti, vengono introdotti nella camera a gas dove muoiono e poi i loro corpi bruciati nei forni crematori. La vita delle persone destinate al lavoro coatto può essere paragonata all’inferno sulla terra. A ciascuno viene tatuato un numero di matricola sul braccio sinistro, la distribuzione del cibo scarseggia e ben presto subentrano apatia, sfinimento, disturbi da malnutrizione. L’anno più atroce è il 1944, vengono uccise 10.000 persone al giorno, mentre tante altre lavorano come schiavi nelle fabbriche chimiche e metalmeccaniche. Dai documenti e dalle numerose testimonianze, si può ben affermare che nella storia dell’umanità non c’è mai stata una vicenda paragonabile allo sterminio degli ebrei: molti si prodigano per aiutare gli ebrei e a tal proposito è importante visitare il Giardino dei Giusti della fondazione Yad Vashem a Gerusalemme. Qui sono sepolti i corpi di 300 italiani che opponendosi alla “soluzione finale”, aiutano molti ebrei a salvarsi. Non meno importante la figura di Giorgio Perlasca, nel cui nome a Gerusalemme è stato piantato un albero e davanti alla sinagoga di Budapest una lapide a ricordo. Infatti, nell’inverno del 1944 riuscì a sfamare 5218 persone destinate ai campi di sterminio, rilasciando loro la cittadinanza spagnola e per fare questo gesto di grandissimo valore umano, utilizza una legge del 1924 che riconosce la cittadinanza a tutti gli ebrei sefarditi, discendenti degli ebrei spagnoli, espulsi nel 1492 con l’Editto di Granada. La sua storia di coraggio e di solidarietà, è stata scoperta dai familiari in un diario che il grande Giorgio tiene conservato nel cassetto della sua scrivania. Oggi a testimoniare la sua grande umanità il figlio si fa portavoce della solidarietà del padre, andando nelle scuole a testimoniare gli orrori della Shoa. Questa tematica negli anni 60 ha coinvolto anche un grande cantautore italiano, Francesco Guccini che nel 1964 scrive “Auschwitz”: “Son morto con altri cento, son morto ch’ero bambino, passato par il camino e adesso sono nel vento e adesso sono nel vento”. Questa strofa iniziale presenta con semplice crudeltà la storia di un bambino morto insieme “ad altri cento”, e questo sottolinea non solo la tragedia individuale ma la dimensione collettiva, e la metafora “adesso sono nel vento” allude alle ceneri trasportate dal vento e all’innocenza del bambino. Il termine “vento” torna alla fine di ogni strofa a ricordare il contrasto tra la vita spezzata e la crudeltà di chi ha ucciso. La tematica dello sterminio degli ebrei cattura l’attenzione non solo di poeti e scrittori, ma anche il pittore Marc Chagall dipinge “Il bue scuoiato”, l’immagine rossa del bue posta in primo piano evidenzia il tema del sacrificio, fulcro simbolico del culto ebraico, il bue è il Cristo crocifisso, è il popolo ebraico sacrificato come vittima innocente.

Levi, Guccini, Chagall sono solo il punto di partenza per ripercorrere quei terribili momenti e ricostruire una genesi storica, ma anche uno spunto di riflessione di un avvenimento che ha colpito non solo un popolo, ma l’intera umanità.

Oggi a distanza di 80 anni ricordando Auschwitz si può meditare sullo scritto di Primo Levi: “Ci si può domandare perché non si ribellassero i prigionieri appena scesi dai treni. I tedeschi avevano perfezionato per questa impresa una strategia diabolicamente astuta. I nuovi arrivi non sapevano a cosa andavano incontro venivano accolti con fredda efficienza ma senza brutalità, venivano invitati a spogliarsi “per la doccia”, veniva dato loro asciugamano e sapone, e promesso un caffè dopo il bagno”. Il campo di Auschwitz, è un vasto complesso dove trovarono la morte 1,1 milioni di persone, rendendolo il principale luogo della Shoa, operativo dal giugno del 1940 al 27 gennaio 1945. Già nel novembre del 1944 di fronte all’avanzata Russa, Himmler diede l’ordine di cessare le esecuzioni nelle camere a gas e di demolire i forni crematori, per nascondere gli orrori del genocidio. Alle 8 del mattino del 27 gennaio del 1945 il campo viene liberato dalle truppe sovietiche, durante la loro avanzata dalla Vistola all’Oder. Il primo reparto che entra nel campo trova circa 7000 prigionieri ancora in vita, vengono rinvenuti migliaia di indumenti, oggetti e 8 tonnellate di capelli umani, imballati per il trasporto. Anche l’insegna “Arbeit macht frei” introduce nel campo i detenuti che a loro insaputa, vanno incontro ad un triste destino. Primo Levi, nella sua opera memorialista “Se questo è un uomo”, scrive: ”Scolpitele nel vostro cuore stando in casa, andando via, coricandovi, alzandovi. Ripetetele ai vostri figli”.

Maria Rosanna Mucciolo

Fonti:
– Dalla società industriale alla globalizzazione, vol 3, Enrico B. Stempo, Silvia Cardini, Francesco    Onorato, Serena Fei, Ed. Le Monnier Scuola.
– P.levi, Appendice (1976) a Se questo è un uomo. La tregua, Einaudi 1989.
– F. Guccini, Auschwitz, Bambino nel vento (canzone).

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