Ruffo Bruno

…a cura di Giancarlo VolpatoPoesia

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Bruno Ruffo

Sportivo, motociclista, campione del mondo, Bruno Ruffo nacque a Colognola ai Colli (VR) il 9 dicembre 1920. Nella frazione di Stra, dov’egli vide la luce, il padre Augusto gestiva un’officina meccanica ed un autonoleggio: è assai probabile che al giovane figlio l’amore per i motori fosse derivato proprio per il contatto con essi. Fece le scuole elementari e, poi, lavorò nella piccola azienda di casa: tra ruote, cuscinetti a sfera, benzina e acceleratori egli si trovò assai meglio che negli studi; imparò in breve tempo e con un’acutezza d’ingegno straordinaria la riparazione dei motori: diventò un meccanico provetto. Allo scoppio della seconda guerra, fu chiamato al fronte; inquadrato in uno dei reggimenti dell’Armir dovette, quindi, andare in Russia. Vi rimase per oltre venti mesi.
Ritornò a casa, indenne e, alla fine del conflitto, iniziò per lui la grande avventura delle corse. In verità, egli aveva già assaporato – sin dall’età giovanissima, falsificando i documenti perché largamente minorenne – il fremito delle gare: a 17 anni – era il 1937 – partecipò ad una corsa locale a Montagnana, classificandosi al secondo posto, in sella ad una vecchia Miller 250; nel 1938 arrivò quarto ad una, in salita, sulle Torricelle di Verona. Nel 1945 – quando la tragicità del conflitto non era ancora spenta – Bruno Ruffo acquistò una Moto Guzzi 250 con la quale si recò a Mantova per concorrere sul Circuito del Te: fu il primo trionfo della sua vita di sportivo, seguìto, subito, da un secondo posto a Bologna e poi da una vittoria al difficile Circuito del Polesine. La sua straordinaria bravura, la capacità di immedesimarsi all’interno della gara e l’oculatezza della sua guida, contribuirono subito a lanciarlo nell’agone sportivo consentendogli di partecipare e vincere, nel 1946, il campionato italiano nella categoria cadetti con ben nove vittorie sulle undici gare disputate: Monza, Ferrara, Pesaro, Forlì, Genova, due volte a Vicenza e due a Merano.
La fama di un giovane centauro, sicuro e geniale, preciso e molto attento, gli aprì tutte le strade. In un’Italia, appena uscita martoriata da una guerra infame e dolorosissima, le imprese sue e degli altri prendevano il colore dell’esaltazione e, certamente, un modo diverso di guardare alle tristezze di quegli anni.
I campionati di prima categoria del 1947 e 1948 furono disputati da Ruffo, su una moto Guzzi 250, da privato; ma la sua bravura non venne meno e, dopo la brillante vittoria al Gran Premio delle Nazioni di Faenza, la casa di Mandello Lario lo ingaggiò a fare parte della squadra ufficiale per il 1949: nasceva, in quell’anno, il motomondiale e le gare acquistavano, così, quell’importanza che, di lì a poco, avrebbero invaso i paesi europei. Egli trionfò nel Gran Premio in Svizzera, si aggiudicò il secondo posto in quello d’Irlanda, si piazzò quarto in quello d’Italia: Bruno Ruffò divenne il vincitore del primo titolo mondiale della categoria 250 cui aggiunse anche quello italiano nella medesima classe. Al meccanico della Stra di Colognola fu tributato un trionfo che lo fece accomunare, in quegli anni del dopoguerra, al successo di Gino Bartali al Tour de France dell’anno prima.
Nel 1950, la sua casa motociclistica non scese in pista: la Guzzi subì un momento di crisi; ma questo non fermò il giovane veronese che corse con la Mondial, un’altra azienda con la quale imbracciò la classe 125: anche in quest’occasione, Ruffo si aggiudicò il titolo mondiale.
Nel 1951 ritornò al primo amore, anche se la fabbrica di Mandello Lario l’aveva tenuto ugualmente sotto contratto per non perderlo, l’anno precedente. Vinse tutto il possibile soprattutto in Olanda e in Francia, gareggiando nuovamente con la 250 e riportando – per la terza volta consecutiva – il titolo mondiale. Fu il primo, in assoluto, a fare la terna e il meccanico della Stra di Colognola non aveva ormai nessuno che non lo conoscesse. Come aveva fatto Achille Varzi e come farà Libero Liberati, Ruffo sembrava uno stilista in sella alla moto, senza una sbavatura; non sbagliava mai e la manopola dell’acceleratore veniva da lui accarezzata, sfiorata delicatamente: quella “macchina”, com’egli la chiamava, dava il meglio di sé nei momenti più difficili: sotto la pioggia, quando l’asfalto sembrava trattenerla poiché egli, con l’eleganza del grande centauro, sapeva come prenderla, come domarla.
Era il naturale candidato per la quaterna nel 1952 dopo un secondo posto, dei piazzamenti nei primi cinque e una vittoria allorquando – per essere sempre ligio, come era nella sua indole, agli ordini della squadra – per lasciare passare il compagno Lorenzetti, al circuito di Solitude in Germania, accadde un brutto incidente poiché i due si toccarono: fu l’unica gara della stagione non vinta dalla Guzzi ma fu, anche, la causa del ritiro dalle corse di Bruno Ruffo che terminò anzitempo l’annata. La sfortuna, che fino ad allora l’aveva risparmiato, questa volta si vendicò: egli ebbe entrambe le gambe fratturate. Ma il suo fisico reagì molto bene e l’Istituto Rizzoli, che lo curò, lo riportò alla piena efficienza.
Riprese nel 1953 e vinse a Mestre e a Siracusa sempre nella classe 250 ch’egli prediligeva. Sembrava che per lui la via della gloria fosse continuamente aperta. Si era aperta, purtroppo, anche la strada delle disgrazie. Le prove del Tourist Trophy, nell’isola di Man, gli costarono caro; a causa della scarsa visibilità e con la complicità della nebbia, Ruffo cadde un’altra volta; un’altra frattura alle gambe compromise, irrimediabilmente, la carriera: non avrebbe più potuto montare in sella ad una motocicletta. Se ne andarono i suoi sogni di gloria.
Dopo qualche anno, nel 1955, la passione per i rombi dei motori lo spinse a sedersi all’interno delle automobili da corsa; divenne pilota ufficiale dell’Alfa Romeo, poi della Maserati: con esse salì più volte sui gradini del podio con brillanti risultati sia su pista sia su strada.
Il 13 settembre 1958, durante le prove della corsa in salita alla Stallavena-Bosco Chiesanuova, a bordo della Maserati 2000, Bruno Ruffo si capovolse ad oltre 200 km orari: rimase, pressoché illeso, sotto le lamiere. Quel giorno sfortunato segnò il suo ritiro.
Il grande campione dette l’addio alla passione, alla bravura, alla vita sulle piste, alle corse su strada. Era ancora giovane e avrebbe dato, all’Italia dello sport, tante altre soddisfazioni. Lasciò definitivamente: con le sue 75 gare effettuate, con i suoi tre titoli mondiali, i suoi caschi tricolori, i suoi 61 record mondiali di velocità, le sue 57 vittorie assolute, i suoi 64 podi conquistati. Ritornò l’uomo di sempre, portando con sé – nel silenzio della sua semplicità – il brivido degli asfalti, la frenesia della vittoria, il canto della gloria.
Nel 1955 il presidente Giovanni Gronchi lo insignì del titolo di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana; nel 2003, Carlo Azeglio Ciampi gli conferì l’onorificenza di Commendatore dell’Ordine al Merito.
Bruno Ruffo scomparve a Verona il 10 febbraio 2007. La città – per volere del figlio – lo ha onorato con una statua stilizzata, in ferro battuto, in via Roma, inaugurata il 4 dicembre 2009 ed opera di Marco Da Ronco: è costituita da tre pezzi, posizionati su di un plinto marmoreo con la figura umana posta sopra una moto, còlta nell’attimo fugace della guida ad alta velocità. Sul basamento, in pietra calcarea della Lessinia veronese, è incisa un’iscrizione, in italiano ed in inglese, che ricorda i suoi più grandi successi. Il 20 marzo 2010, a Colognola ai Colli, si tenne un convegno su Bruno Ruffo; il paese natale gli ha dedicato il “Palasport”. Il suo nome compare in tutte le storie dello sport motociclistico ed è stampato nella storia ideale della Moto Guzzi.

Bibliografia: Renzo Ruffo, Cuore e asfalto: opera funambolica su due ruote e un filo di poesia, Verona, L. Bloom, 2009; Monica Rama, Bruno Ruffo, guerriero da Stra’ all’isola di Man, “L’Arena”, 17 novembre 2009, p. 29; Massimo Falcioni, Bruno Ruffo, il mito che portò l’iride alle “aquile” di Mandello, “Motoblog.it”, 15 dicembre 2010; Alessandra Zamperini-Luca Leone-Michele De Mori, Le statue di Verona: guida ai monumenti scultorei pubblici del centro storico, [Verona, s.n.], 2015, pp. 68-69; Anna Maria Prati, Colognola ai Colli: ricerca bibliografica, Colognola ai Colli, Comune-Ass. alla Cultura, 2016, p. 150; Nicola Pucci, Bruno Ruffo e l’incidente che gli tarpò le ali dopo tre titoli mondiali, “SportHistoria”, 4 novembre 2018.

Giancarlo Volpato

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