Scolari Attilio Giuseppe – “Quindici mesi e un giorno”
…a cura di Elisa Zoppei
Per le tue domande scrivi a >>> elisa.zoppei@gmail.com
Amici carissimi, festeggio insieme a voi e a tutto il gruppo editoriale del Condominionews, la nuova stagione, che ci auguriamo proficua e serena, prossima a tante auspicate vaccinazioni e al POST VIRUS, presentandovi una storia autobiografica che ho trovato di piacevolissima lettura per più di un motivo.
Ritratto biografico
L’autore, Attilio Giuseppe Scolari cittadino DOC di San Martino Buon Albergo (vi è nato nel 1949), nonché artista poliedrico, con disinvolta naturalezza, ricchezza di particolari e viva versatilità narrativa, racconta la sua esperienza di giovane ventenne, legata ai ricordi del servizio militare di leva, vissuta per quindici mesi e un giorno fra il 1969 e il 1970.
Operativa dal 1861, tale istituzione nata col Regno d’Italia e resa obbligatoria, fu dichiarata inattiva il 1 gennaio 2005 (L. n 226 del 23 /8/2004). Senza dubbio questa è una delle storie da includere nella narrativa di formazione poiché, nel bene e nel male, secondo i punti di vista, la “Leva” è stata una istituzione storica di vitale importanza per l’educazione alla vita di generazioni e generazioni di giovani italiani che hanno dovuto volenti o nolenti assoggettarvisi.
Questo lungo periodo di iniziazione all’adultità, con l’allontanamento dalla famiglia, il carico di responsabilità personali per imparare ad arrangiarsi e cavarsela, l’obbedienza (senza discussioni) agli ordini e la sottomissione al rigore della disciplina militare, in vista di preparare uomini alla difesa armata della Patria, veniva chiamato con l’appellativo di naja. Che cosa significa questa parola diffusasi a mezzo tam tam da Nord a Sud? La risposta più coerente che ho trovato anche se un po’ ingenua è che stia per tenaja, termine dialettale nostrano che corrisponde all’italiano tenaglia, morsa, in quanto la vita militare obbligava un giovane a lasciare giocoforza i propri affetti e progetti, per subordinarsi alle gerarchie istituzionali. Ma il servizio militare fin dopo la fine della seconda guerra mondiale veniva ancora vissuto come il passaggio dagli anni dell’adolescenza a quelli nei quali un ragazzo diventava uomo. E questo passaggio ufficiale era festeggiato clamorosamente nei paesi (dai coscritti) con scherzi e clamorose bevute. Guai a chi veniva scartato.
Attilio Scolari, alto, asciutto, sportivo e sano, ricevuta la cartolina richiamo, passata con facilità la visita di leva e assegnato al Reggimento Alpini CAR Cuneo, Compagnia Bassano, 3° plotone, squadra 11, era deciso ad affrontare qualsiasi incognita per dar un senso al suo essere nel mondo e costruirsi un futuro a sua misura, cogliendo ogni opportunità che la vita militare poteva offrirgli.
Nato, in un sottotetto di via Piave, in una fredda notte di dicembre, nei primi mesi di vita superò con l’aiuto della penicillina una gravissima polmonite. Fu un colpo di fortuna: il nuovo farmaco miracoloso era da poco tempo arrivato in Italia. Bambino vivacissimo e curioso di tutto, desiderava imparare i lavori dei grandi e conoscere tutto ciò che riguardava il territorio in cui viveva, tanto da esplorarlo in lungo e in largo, palmo a palmo fino a farsi memoria storica di San Martino prima e dopo il boom edilizio del mattone, che, a partire dalla metà degli anni cinquanta, ne ha cambiato il volto facendo sparire i campi e interrando i fossi sotto nuovi quartieri. La scuola con i suoi metodi di pedissequa tradizione nozionistica lo disorientava: voleva impadronirsi dei perché di ogni cosa: come era fatta, a cosa serviva. Così gambe in spalla e cuore all’erta, la sua cultura se l’è costruita da solo, senza risparmiarsi, senza arrendersi agli insuccessi, forte della convinzione che chi la dura la vince, diventando, quando ancora si era agli inizi, uno dei primi conoscitori dei linguaggi informatici e nel tempo anche musicista, con particolare propensione verso la musica moderna Jazz, Rock, Blues, privilegiando le parti solistiche di chitarra. Parla della musica come di una dura scommessa con se stesso, poiché quando era ragazzo e tutti strimpellavano uno strumento lui non si accontentava perché avrebbe voluto saper leggere gli spartiti, e mangiava rabbia non riuscendo a tirare fuori niente di buono dalla sua prima chitarra, una Echo usata. Ma riuscì studiando di lena sotto la guida di un valentissimo maestro di musica veronese a superare le difficoltà, a dominare le note imparando soprattutto ad ascoltare la musica per riconoscerne i suoni e riprodurli, realizzandone poi la trascrizione.
Terminato il servizio militare, Attilio fu assunto come ausiliario presso una banca cittadina. In seguito grazie alla sua preparazione in campo informatico, riuscì a innalzare il livello della sua carriera in modo apprezzabile. È stato inoltre attivista sindacale, ricoprendo cariche anche in ambito nazionale.
Nel tempo libero si è dedicato a svariate attività artistiche culturali verso le quali si sentiva profondamente attratto, assecondando un bisogno interiore di dare forma e colore alle proprie visioni ed emozioni con la poesia la musica la pittura la fotografia.
Centro della sua ispirazione poetica è l’uomo alla ricerca di sé; in campo pittorico la fonte della sua ispirazione è la natura raffigurata a tratti idilliaca e serena. L’uomo nella metropoli rappresenta invece la solitudine dell’essere umano che fluttua rassegnato senza una meta nella fiumana della city galattica sfuggendo ai suoi tentacoli.
Navigando in internet troviamo pubblicata una sua ricerca del 2009 condotta con meticolosa serietà e precisione su “Edoardo De Betta, (1822-1896)”, illustre studioso ricercatore naturalista, membro dell’Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere di Verona, scienziato e umanista di valore e autore di numerose pubblicazioni scientifiche. Fu tra l’altro il primo Podestà di Verona diventata italiana, e visse fino alla morte nella sua residenza di campagna a villa Sogara di Marcellise; e un’altra su Bartolomeo Malanotte fondatore della Cassa di Risparmio di Verona ora diventata Unicredit.
La passione legata alla fotografia ha trovato mirabili canali espressivi nei numerosi documentari da lui prodotti.
Nel 2011 ha ideato e prodotto il suo primo documentario “Il Fibbio fiume generoso”, dalle sorgenti all’Adige. Sono seguiti “D’acqua e di roccia”, dedicato al parco delle cascate di Molina, 2015; “Lessinia luogo di Fade”, 2016; “Lessinia l’arcaico e l’attuale”, 2017; “Lessinia luogo di Fede”, 2017; “Parco di Pontoncello”, 2018; “Luigi Lineri… alle parole ho preferito i silenzi dei “giaroni”, 2019; Mario Zenzolo “Oggetti e attrezzi sono la nostra memoria, la nostra storia..”, 2019; Itinerari di fede in Logazeria, 2020. Tutti disponibili per la visione in DVD presso la biblioteca di San Martino. A conferma vedere le notizie biografiche curate da Anna Solati nel ritratto a lui dedicato sul sito www.sanmartinoba.it, alla voce Protagonisti,
Un personaggio davvero interessante a tutto tondo, questo nostro Attilio, un vicino di casa sempre pronto a darci una mano quando si incricca il computer, sempre presente a sostenere le serate culturali mettendo a disposizione la sua padronanza dei sistemi comunicativi multimediali, senza aspettarsi nemmeno un grazie. Nel 2016 è stato insignito del “Martino d’oro”, massima onorificenza del Comune di San Martino, “Per la passione e l’impegno dimostrato nel campo culturale e sociale”, data ai cittadini più esemplari ed insigni.
Questo racconto, come appare dalle copertine prima e quarta, è un viaggio della memoria che Attilio, una volta in pensione e alleggerito dai rutinari impegni professionali, ha voluto scrivere perché nulla andasse perduto di quella esperienza, non di rado sofferta nella sua carne viva, spesso rischiosa e attraversata dalla paura di non farcela. L’autore ci presenta uno spaccato vero e vitale e di quei mesi trascorsi fuori di casa come una parte preziosa della sua vita, parte energica, volitiva, formativa. Alla partenza, dal finestrino della tradotta che da Verona Porta Nuova lo porta a Cuneo per il CAR, si guarda intorno, con una punta di commozione, consapevole di lasciarsi alle spalle quel branco di lupi scherzosi, compagni di chiassate paesane, escursioni domenicali o “festine” tra le pareti domestiche e la sua amata piangente. Via via che la tradotta lo allontana dalla sua casa, dagli amici, dai suoi luoghi e dal suo primo amore, non si sofferma sulla malinconia degli addii, si immagina già sulle sue amate montagne e non sa che invece dopo il primo addestramento sarà mandato a Napoli in un periodo di scioperi e con un’atmosfera poco tranquilla in quanto i soldati dovranno sostituire gli scioperanti al Cardarelli.
Perché in quel tumultuoso 1969 proprio vicino a quella grande città, a San Giorgio a Cremano, ha fatto il corso di radiotelegrafista.
Poi di stanza a Bressanone (caserma Schenoni), accetta tutte le occasioni per essere inviato in missione (Valle Aurina, Campo Tures, Brunico, Corvara, Anterselva, ecc.). Siamo all’epoca della massima tensione tra Italia e Austria e quindi non si tratta di giocare a fare il soldato perché in quell’epoca di attentati i pericoli non mancano.
In valle Aurina, ad esempio, è il solo alpino presente nella caserma dei carabinieri del paese ed è incaricato di mantenere i collegamenti con le pattuglie che escono per i controlli dell’ordine pubblico.
Tra la gente si percepisce un’atmosfera di sottile ostilità anche se con lui tutti sono gentili, però gli combineranno lo scherzo più atroce per un alpino rubandogli il cappello.
Ogni pagina di questo libro narra l’avventura di un giovane alle prime armi con la dura vita del militare, che lo rende via via, capace di assumersi gravi responsabilità, facendo fronte a pesanti difficoltà, non di rado più grandi di lui, senza sconti, senza premi. Unica soddisfazione essere riuscito in imprese improponibili nella vita normale, che gli hanno rinforzato non solo i muscoli ma anche aguzzato l’intelletto. L’hanno abituato a pensare e a vedere oltre le apparenze, ad ascoltare la voce delle montagne e a credere in se stesso nelle proprie capacità di imparare, spronandolo a fare sempre meglio il proprio dovere. E nel contempo, con grande gioia, ha potuto rinvigorire la sua bravura di sciatore fuori pista scendendo giù per i canaloni in neve fresca o pressata, in scorribande forsennate da sci estremo o freestyle. Una passione che ancora oggi lo chiama nei campi da sci.
Questo per 15 mesi. Allora perché un altro giorno? Se la ripeteva nel pensiero la canzone del congedo da cantare insieme ai “nonni” (anziani) ma …
Le pagine dedicate all’ultimo periodo di Naja, sono a dir poco struggenti: il saluto a Elsa, la ragazza con cui aveva condiviso lunghe giornate serene, l’attesa dell’ultimo giorno, la riconsegna del corredo, la festa dell’addio… la firma sulle cravatte…
Invece… la fine si fa attendere. Che cosa sarà successo al “vecio alpin”, tutto abbronzato, gli scarponi e i vestiti consumati?
Lo affido alla vostra lettura.
Il testo è reperibile c/o le Biblioteche
Vs Elisa