Tassoni Giovanni
…a cura di Giancarlo Volpato
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Demologo, letterato, insegnante, Giovanni Tassoni nacque a Buzzoletto di Viadana, nella bassa mantovana il 1° marzo 1905. Il padre Ernesto era un proprietario terriero di buon livello economico e la madre Elvira Roffia godeva pure di una buona rendita finanziaria.
Fin da piccolo Tassoni manifestò un carattere piuttosto irrequieto e di spirito molto curioso per ciò che gli stava intorno. Dopo le scuole elementari, sia per accontentare il padre sia per la propria disposizione intellettuale, sia perché era l’unico maschio con due sorelle, andò a Milano e poi a Crema dove frequentò l’Istituto Magistrale diplomandosi. A vent’anni cominciò ad insegnare alle elementari a Pegognaga, sempre in provincia di Mantova, ove rimase sino al 1926 quando fu chiamato al servizio militare a Firenze ove conobbe Arnolfo Santelli, un letterato, critico d’arte e, poi, buon lodatore di Mussolini e cattolico di stampo classico: tra Tassoni e questi l’amicizia, la stima, la reciproca cura degli scritti non vennero mai meno. Ricordiamo che già il fascismo si era impossessato dell’Italia.
Lo spirito irrequieto del Nostro lo portò, al termine dell’obbligo militare, ad andarsene dalla casa paterna; si trasferì a Milano e intraprese un lavoro assolutamente contrario al suo modo di vivere: fece il commerciante viaggiando per l’Italia; Tassoni – che noi abbiamo conosciuto bene – non volle mai parlare dell’esperienza molto triste di questo mestiere che lo distrusse moralmente, ma soprattutto per la sua incapacità di quel tipo di lavoro.
Lasciò l’Italia e, mettendo a frutto i suoi studi, si trasferì a Sciaffusa, nel nord della Svizzera dove la collettività italiana aveva aperto una scuola: e fece il maestro; per non contrastare quella elvetica, Giovanni Tassoni fu molto attento a fare imparare l’italiano e, poi, il tedesco (ch’egli apprese proprio nel paese dov’era andato) ai bambini e agli adulti, soprattutto veneti, che avevano emigrato. Nel suo manoscritto, Diario di un insegnante all’estero, egli descrisse la difficoltà propria, la malinconia, il dolore della lontananza interpretando pure quello dei conterranei che avevano dovuto lasciare l’Italia. Irrequieto, ma pieno di solitudine, innamorato della sua Viadana in riva al Po e riscaldato sempre dalla passione per la gente e per tutto ciò che gli stava intorno, iniziò a scrivere; credette – lo disse e, molto tempo dopo in un’età anche avanzata, lo ripeté più volte – che quel modo di mettere sui fogli poesie, racconti, favole e commedie fosse la sua vita; egli stesso dirà che quegli anni furono un mondo diverso del suo percorso intellettuale.
Tassoni esordì come letterato poiché riteneva fosse la sua vera vocazione, maturata da letture profonde e di ampio respiro; visse la sua giovinezza inebriato – come tanti coetanei – da un ideale che prometteva giorni radiosi dopo la lacerante prova della guerra: guardò questo suo passato con l’occhio dell’intelligenza e della cultura, con la realtà del mondo in cui era cresciuto, con le esperienze anche straniere che aveva a lungo praticato. Affinò, piano a piano, le sue armi letterarie (che poi diventeranno di altissima valenza scientifica) con una cura assidua, quasi feroce della lingua, con la padronanza di una fraseologia che solo ai distratti apparirà leziosa e ricercata: sarà, sempre e in ogni pagina da lui scritta, la conoscenza dell’infinità varietà del lessico, la bravura del sapere cogliere quanto un linguaggio – poi quasi esclusivamente scientifico – gli potevano offrire.
Tassoni si presentò al pubblico dei lettori con una raccolta poetica, Le soste (Bergamo 1929) dove la spensierata illusione e la sensibilità epidermica delle cose erano trattenute dal sorriso amaro dell’ironia come aveva fatto un suo antico e lontanissimo parente, Alessandro Tassoni, ne La secchia rapita; seguirono i racconti Le beffe: novelle d’amore (Firenze 1930) con un’armonizzazione letteraria non ancora assestata; briose apparvero due commedie per bambini Piccole scene (Firenze 1932) e, da ultimo, L’approdo (Milano 1936), una raccolta di versi di buona lettura. Collaborava con i giornali italiani della Svizzera.
Egli era cresciuto in un clima di ardente nazionalismo e di retorica patriottica; s’illuse sulla grandezza dell’Italia e aderì al fascismo, convinto e in piena buona fede che quella fosse la strada più giusta. Così nel 1932 venne incaricato, da parte del Ministero, dell’insegnamento in una scuola italiana a Sciaffusa, nel 1933 venne nominato segretario del Partito Nazionale Fascista della medesima città mentre nel giugno 1937 fu fatto agente consolare. Ne parlarono i giornali di “questa patriottica cerimonia”. Tassoni non rinnegò mai questa parte della sua vita; tuttavia, in seguito, egli fu molto critico nei confronti del fascismo non condividendo gli sviluppi successivi della politica italiana: non accettò l’alleanza con la Germania, né la persecuzione degli ebrei, né successivamente la Repubblica Sociale di Salò. Egli era, tra le sue buone qualità, un uomo fermamente sincero, non conosceva le falsità ed era un cristiano di fede autentica.
S’innamorò di una donna dolcissima, Gertrud Fischer, una coetanea di religione valdese, sua insegnante di tedesco a Sciaffusa: la sposò nella chiesa di Buzzoletto il 4 settembre 1937 ottenendo – con le dovute domande e regole – le dispense canoniche per la sua unione con una donna di “mista religione”. Rimasero sempre insieme e, anche se il marito chiese alla moglie una conversione al cattolicesimo non ottenendone l’assenso, non vi furono mai dissensi: la libertà dello spirito, del pensiero e soprattutto dell’amore trionfò sempre in quella famiglia.
La seconda guerra mondiale sconvolse tutti e anche Tassoni lasciò la Svizzera, si trasferì a Forlì, evitò accuratamente ogni collaborazione con i tedeschi, lavorò in un’azienda commerciale di frutta e verdura. Grazie alla conoscenza delle lingue, s’iscrisse al Corso di Laurea in Lingue e letterature straniere di Ca’ Foscari a Venezia, superò tutti gli esami, ma non si laureò per contrasti con il commissario di laurea, il quale considerava lo scrittore Heinrich Heine (oggetto della tesi del viadanese) uno “scribacchino ebreo”. Ritornati sulle rive del Po, terminata la guerra, i coniugi adottarono una bimba, di nome Raffaella, che fu la loro figlia, la quale ricompensò d’amore infinito i genitori.
Arrivò il 1949: Giovanni Tassoni diventò insegnante di ruolo a Lugo di Grezzana; la famiglia diventerà cittadina veronese e, da quel giorno, il Nostro non abbandonerà più la sua casa in Borgo Trento dove riceverà gli amici, cambierà la sua vita, accoglierà chiunque voleva conoscere un uomo che, da quel giorno in poi, diventerà uno dei geni veri degli studi sul folklore italiano; la moglie, una pianista di notevole classe, accoglierà sempre con il sorriso gli ospiti di quell’uomo dallo sguardo gentile, sempre sorridente, molto diverso dallo spirito irrequieto che l’aveva fatto rimbalzare nella gioventù. Tassoni insegnerà sempre a Verona in due altre scuole elementari.
Abbandonata definitivamente la passione per i versi e la poesia, egli si accostò alla ricerca folklorica approdando a lidi di grande importanza: gli studi demologici diventeranno parte integrante della sua vita; l’approdo del suo itinerario culturale non furono le forme astratte del conoscere quanto l’attenzione alla gente concreta, a tutta la gente che mangia e beve, ride e piange e prega, lavora, scherza, ammicca, ritualizza le sue gioie e le sue angosce segrete: la demologia, nel senso più largo, come un ventaglio di esperienze culturali ed umane, lo studio delle tradizioni popolari; uno studio mai sussiegoso che si collocava al punto di meditazione tra l’approccio vivo alla gente e il necessario distacco critico. Filologicamente sempre inappuntabile, la ricerca di Giovanni Tassoni non aprì varchi al laudator temporis acti, né manifestò atteggiamenti nostalgici: la “patria piccola”, che rimase tra i suoi interessi, acquistò una dimensione scientifica. In tutta la pubblicistica tassoniana vi fu sempre una volontà di persuadere, guardare e porre alla conoscenza degli altri tutta una serie di modi di essere, di comportamenti, di “piccole grandi cose quotidiane” che la sua professione di maestro elementare gli fece certamente consolidare.
Giovanni Tassoni pubblicò moltissimo e sarebbe impossibile oltreché fuorviante rendere conto in toto della sua lunghissima attività: furono oltre 300 titoli tra opere impegnative e recensioni, saggi scientifici su periodici specializzati e recensioni, contributi a giornali e riviste.
Il veronese di Viadana (fu sempre assai contento di ritenersi una parte di entrambe le comunità) elaborò una serie di articoli in riviste specializzate e assai significative nell’ambito della demologia e delle tradizioni popolari; alcune rilevanti dal punto di vista nazionale, altre di grande livello: “Lares”, “Rivista di etnografia”, “Folklore” e, più tardi, in tutte le riviste che parlavano dei Cimbri, in quelle di etnostoria e in altre nelle quali il valore della tradizione popolare – spesso scomparsa – dava un grande senso alla vita della gente. Partecipò a convegni, presentò relazioni: ma era un uomo che affrontava la gente con il sorriso, con una manifestazione di gradevolezza coinvolgente. Il primo, rilevante lavoro dato alle stampe fu Proverbi ed indovinelli (Firenze 1955) frutto di attente ricerche effettuate nel territorio mantovano; l’impeccabile rigore con cui condusse lo studio gli aprì la strada. Senza tema di smentite, Tassoni diventerà, nella storia della demologia italiana, uno dei più rilevanti studiosi della proverbistica popolare: mantovana prima, contadinesca padana poi e, ancora, legata ai lavori quotidiani, alle vite giornaliere della gente comune, nelle diverse versioni idiomatiche: dai dialetti locali a quelli meno noti, dalle espressioni semplici a quelle più importanti; così furono i proverbi lombardi, poi quelli trentini, ladini e altoatesini: da quelli sacri a quelli più semplici, da quelli figurati a quelli derivanti dall’osservazione delle cose e dalla piccola psicologia della gente comune.
Si occupò delle tradizioni popolari mantovane che segnarono una pietra miliare nello studio e nella tipologia del metodo di guardare quello che la gente faceva, come si muoveva, come si poneva di fronte agli eventi; poi, gli occhi di Tassoni si apriranno anche verso il mondo veronese al quale egli saprà donare studi straordinari e che rimarranno nella storia demologica della nostra terra. Intanto la sua fama di studioso si andava allargando: memorabile sarà un volume dove, accanto agli studi archivistici di un’epoca storicamente rilevante, troveranno spazio delle iconografie assai importanti per la comprensioni di un periodo, di un popolo, di un comando, di un’Italia assai diversa: l’opera sarà il volume nono (di oltre 600 pagine) di un’impresa che fece scalpore per la vastità dell’articolazione: egli si occuperà delle Arti e tradizioni popolari: le inchieste napoleoniche sui costumi e le tradizioni del Regno Italico (Bellinzona 1973); l’amore per le proprie terre, quella italiana e quella elvetica, non verrà mai meno.
Tassoni raccolse le Fole mantovane: il materiale favolistico, una letteratura minore mai scomparsa, alimentò sempre le giornate dei piccoli, dei grandi, del popolo minuto, di quello che viveva di rispondenze sociali piene di consonanze con le radici storiche.
Riteniamo che il volume più importante sia stato Folklore e società: studi di demologia padana (Firenze 1977): qui trovarono spazio i fatti demologici del folklore di tutta la pianura padana che partiva dalla cultura consumistica della classe borghese, improntando di rapporti istintivi e innovativi il suo spaccato di carattere rurale; la cultura gramsciana fu sempre dominante in Giovanni Tassoni: dalla modernità acclarata alla terza cultura (quella del popolo, come veniva denominata), dalla religiosità alla poesia del giorno, che era quella del vivere di tante persone; non dimenticò la toponomastica che, assai più di quanto si pensi, si introdusse nei modi del chiamare i luoghi dove la gente, soprattutto quella senza pretese, passava la vita, spesso senza uscire da dove aveva visto la luce.
In lui trovarono splendore e spessore i canti contadini: quello dell’aratore, quello del raccoglitore dei frutti, quello dell’uomo della stalla, quello delle donne campagnole e quello – spesso poetico – delle mamme che accudivano i piccoli o di quelle che, nel silenzio dei gradini appena fuori dell’abitazione, cantavano mentre filavano e ricamavano. Tassoni amò la terza cultura; non perché la ritenesse superiore alle altre, ma poiché sapeva che sarebbe scomparsa e che di essa non si sarebbe più raccolto nulla; era, ed è, malauguratamente vero oggi: come avere perduto uno scrigno dove, al posto dell’oro vi era l’amore, dove, al posto della ricchezza in denaro vi era quella della carezza quotidiana nel silenzio, nella preghiera, nella ricompensa per avere potuto sorridere allorquando il sacerdote, davanti all’altare, sfiorava quelle bellissime tovaglie ricamate con la grazia di persone per le quali il mondo dei nobili e degli ignoranti ricchi non contavano nulla.
Giovanni Tassoni non dimenticò le minoranze: quelle linguistiche, quelle della povertà, quelle della gente. Così egli si avvicinò al Curatorium Cimbricum Veronense; qui egli diede, finalmente, ciò che mancava: la dignità scientifica degli studi demologici applicati ad una minoranza che fino ad allora aveva conosciuto dilettanti accostati da quel principio della “filologia cimbra” di stampo ottocentesco che non aveva certamente contribuito a svecchiare il pure pregevole sforzo per la salvaguardia di una comunità ormai al declino; il suo contributo, in questo campo come in molti altri, rovesciò lo spirito imperante del crocianesimo che aveva fatto rimescolare anche le carte dell’etnologia.
In una lezione del 1984 (leggibile in un libro curato da chi scrive queste righe) Tassoni si chiedeva quale senso potesse avere parlare di folklore, di tradizioni e di scuola demologica in un’epoca nella quale molti di questi fatti erano scomparsi e altri andavano innovandosi; spiegando che vi era una dimensione culturale in molte tradizioni, egli stesso rispondeva: “Conoscere tutto quanto è successo, significa prendere coscienza del nostro essere nella società: scoprire noi stessi attraverso la scoperta del mondo al quale siamo troppo coinvolti per potercene di fatto disinteressare”.
Durante gli anni della lunga vita, la sua opera non passò inosservata; ne fecero fede i molti riconoscimenti ottenuti: da quello di Cavaliere della Repubblica a quello di Gran Massaro dei Cimbri; fu membro di Accademie importanti quali la Virgiliana di Mantova, la Société Internationale d’Ethnologie et de Folklore; ottenne la medaglia d’oro dei benemeriti di Mantova. La sua biblioteca andò ad arricchire quella dell’Università di Verona, le sue raccolte affluirono alla Comunale di Viadana, mentre altri fondi si trovano presso l’Accademia Virgiliana di Mantova.
Giovanni Tassoni passò i suoi giorni sempre in Borgo Trento a Verona. Nel 1981 se ne era andata la moglie ed egli aveva vissuto, nel dolore della perdita, non abbandonando mai i suoi studi. Gli ultimi anni furono difficili perché la malattia gli aveva impedito di muoversi, ma sopportò con cristiana rassegnazione e lo aiutò la sua profonda fede cattolica. Si spense il 18 marzo 2000 presso l’ospedale di Villafranca di Verona e volle essere sepolto vicino alla sua famiglia, accanto – come diceva sempre – “alla mia Gertrud”, a Buzzoletto di Viadana.
Bibliografia: Alberto Castaldini, Scritti di Giovanni Tassoni letterato e folklorista mantovano, Viadana, Comune di Viadana, 1996; Alberto Castaldini, Ricordo di Giovanni Tassoni (1905-2000), demologo e letterato mantovano, “Lares”, 66, 2, 2000, pp. 261-268; Giovanni Tassoni (1905-2000): demologo e letterato nel centenario della nascita, a cura di Giuseppe Flisi, Viadana, Nuova Stampa, 2005: questo volume raccoglie gli Atti del Convegno di cui da ricordare, almeno, Roberto Buttura, Il maestro (pp. 43-50), Giovanni Rapelli, Un viadanese sui monti della Lessinia (pp. 75-78) Giancarlo Volpato, Giovanni Tassoni, letterato e demologo (pp. 79-90), Elenco degli scritti di G. Tassoni (pp. 91-118); Alberto Castaldini, Tassoni Giovanni, in Dizionario Biografico dei Veronesi (secolo XX), a cura di G. F. Viviani, Verona 2006, pp. 798-799.
Giancarlo Volpato
FOTO DA: http://www.demologia.it/mantova/documenti/tassoni/tassoni1.htm