Trevisani Levi-Civita Libera

…a cura di Giancarlo Volpato

Poesia

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Libera Trevisani Levi-Civita – Foto da Archivio privato di Fiorenza Taricone

Matematica, studiosa, filantropa, Libera Trevisani nacque a Verona il 17 maggio 1890. Primogenita di cinque sorelle, era figlia di Luigi e di Maria Speranza Scolari, sposatisi nell’aprile 1888 (si veda, per l’occasione, il libretto di poesie, Per le nozze dell’egregio signore prof. Luigi Trevisani colla signorina Maria Speranza Scolari), fu una studentessa brillante e molto dotata. La madre era una professoressa di francese piuttosto nota per alcune traduzioni oltreché per la capacità d’insegnamento: scomparve piuttosto giovane e le figlie furono allevate dal padre. Questi, laureatosi in filosofia a Vienna, insegnò filosofia morale e pedagogia nel Seminario veronese: le idee, agnostiche ma non contrarie, lo fecero scegliere (anche a causa del luogo dov’era docente) di impegnarsi nella scuola pubblica; trasferito a Cosenza, Libera frequentò nella città calabrese il Ginnasio-Liceo “Bernardino Telesio” e, nell’Anno accademico 1908-1909, s’iscrisse all’Università di Padova, usufruendo di una borsa di studio del dissolto Collegio San Marco. Nel 1912 si laureò in matematica con una tesi – che la rese subito conosciuta anche al di fuori dei confini d’Italia – dal titolo Sul moto medio dei nodi nel problema dei tre corpi, pubblicata negli “Atti dell’Istituto veneto di Scienze, Lettere ed Arti” e, più tardi, tradotta in inglese. Era un tema di meccanica celeste che si riferiva allo studio del moto di un punto materiale nel campo gravitazionale di due corpi e che riguardava l’esistenza del moto medio asintotico (= che non tocca) del nodo nel problema ristretto dei tre corpi, quando questo si riferisce alla cosiddetta “teoria della Luna”: in definitiva dimostrò che “i nodi delle orbite osculatrici (nel piano invariabile) sono effettivamente dotate di moto medio asintotico”. La giovane studiosa si abilitò, anche, per l’insegnamento ottenendo sempre – com’era sua abitudine – il massimo dei voti. La figura di Libera Trevisani rimase nella storia delle studiose di matematica dato il numero, esiguo per davvero, delle donne che si cimentavano in una scienza che gli uomini pensavano – sempre – poco consona per il sesso femminile. Questo suo lavoro – l’unico che pubblicò – fu talmente rilevante che alcuni studiosi lo ricordarono trent’anni dopo.
Nell’aprile 1914, divenne la moglie del suo professore universitario Tullio Levi-Civita: da quel momento, ella preferì scrivere Mrs. Levi-Civita anziché utilizzare il proprio cognome: il marito era uno dei geni più conosciuti nell’ambito degli studi matematici non solo europei.
Dopo il matrimonio, Libera Trevisani non intraprese né una carriera accademica, né esercitò alcuna attività lavorativa ufficiale e, tuttavia, non si ritirò neppure a vita privata; divenne la colonna portante degli innumerevoli incontri del marito oltreché essere una delle menti rilevanti nelle numerosissime riunioni e negli incontri scientifici: da questi non si ritirò mai; anzi, seppure quasi non ufficialmente, la signora Levi-Civita diventò una delle menti che seppe riunire, mettere insieme, fare incontrare gli studiosi di una scienza, quella della meccanica razionale, che godette – in Italia e in Europa – di straordinario interesse con risultati molto importanti che aprirono le strade alla modernità delle scienze. Libera, pure nel silenzio scientifico “ufficiale”, fu notata per la sua personalità, per l’autorevolezza del carattere, per la profonda cultura che l’accompagnò sempre. Valga un esempio per confermare la grandezza di questa “studiosa perduta”, come qualcuno volle qualificarla: nell’ottobre 1921, Albert Einstein arrivò a Bologna per tenere tre conferenze sulla relatività; questi era ospite di un altro celebre matematico come Federigo Enriques: fu ella stessa ad accogliere il Premio Nobel e a discutere di fisica oltreché di scienze, quando, in quelle tre serate, i massimi studiosi non volevano perdere l’occasione di restare con un genio.
Già da due anni i Levi-Civita si erano trasferiti a Roma poiché al marito, all’inizio del 1919, era stata offerta la cattedra di meccanica razionale a “La Sapienza”, mentre, nel 1923, ad Enriques, nel medesimo ateneo, fu data la cattedra di matematiche complementari; le famiglie abitarono nel medesimo palazzo di via Sardegna: anche questo non avvenne per caso poiché Libera Trevisani, che aveva dimostrato già da tempo la sua apertura – non solo mentale – diventò uno dei fulcri rilevanti della filantropia. La casa diventò, poco a poco, il luogo di riferimento, frequentato assiduamente, da un grande numero di giovani ricercatori stranieri che arrivavano agli atenei romani grazie alle borse di studio della Fondazione Rockefeller. Creata da John Davison Rockefeller nel 1913, proseguita dal figlio, quest’opera fu chiamata “lotta contro la povertà” poiché si occupava di studiare, combattere ed eradicare alcune malattie allora particolarmente mortali; offriva, tuttavia, borse di studio anche ad altri giovani che non si occupavano di medicina: tra questi, vale la pena ricordare, almeno, Aurel Wintner, uno dei massimi studiosi sulla teoria delle probabilità che era partito dall’opera di Libera Trevisani pubblicata subito dopo la laurea della Nostra.
Nel 1925, per i festeggiamenti del centenario dell’Accademia delle Scienze dell’Unione Sovietica, accompagnò il marito ed altri scienziati in un viaggio culturale che toccò le principali città del Nord-Est europeo: le destinazioni furono Mosca e Leningrado. Nell’andata, la delegazione italiana – da tutti considerata eccezionale per i “grandi cervelli presenti” – si fermò a Norimberga, Copenaghen, Helsinki; nel ritorno passò per Varsavia, Cracovia, Budapest, Vienna; a questo viaggio “a volo d’uccello” com’ella stessa lo chiamò, Libera Trevisani dedicò un diario. Tra gli scienziati con cui condivise – come scrisse – delle discussioni importanti, la studiosa incontrò Niels Bohr nella capitale danese: nel 1922 era stato insignito del premio Nobel per la fisica poiché era stato l’uomo del primo modello quantistico dell’atomo; in Finlandia discusse con Karl F. Sundman il tema dei tre corpi e, scrisse nel diario, “mi rinverdì gli studi della meccanica celeste”; in Unione Sovietica il gruppo italiano visitò i laboratori sperimentali, tenne incontri e conferenze; in Polonia si confrontò con la comunità degli studiosi. Tra gli amici matematici e scienziati con i quali Libera fece il viaggio in Europa, vi era anche Gino Fano, proprietario della villa di Colognola ai Colli (Verona), che porta il suo nome e al quale il paese ha dedicato la scuola media.
Libera Levi-Civita, come ormai da tutti era conosciuta, aveva – già da tempo – dedicato parte della sua vita a chi ella riteneva avesse bisogno. La sua casa a Roma, dove riceveva sempre coloro che da lei potevano avere aiuto, era diventato un luogo importante per gli scienziati, per gli studiosi e per i giovani che si appressavano alle conoscenze soprattutto matematiche e fisiche: ma, certamente non per caso, era un luogo dove s’incontravano molti ebrei ai quali, all’avvento del fascismo, non giovò certamente l’origine semita. Prima di questo – di cui parleremo fra poco – Libera Trevisani aveva capito, con uno spirito di straordinaria intelligenza e realtà sociale, la condizione femminile: lasciata da parte, sovente calpestata, la donna non contava al di là e ben oltre la capacità dell’intelletto. Così, a Roma nel 1897, assieme ad Alice Schiavoni Bosio, fu la co-fondatrice dell’Associazione Nazionale per la Donna di cui diventò la prima segretaria del Consiglio Nazionale delle Donne Italiane (CDNI); tra le aderenti vi fu Eugenia Vitali Lebrecht (v. questo Sito). Ella aveva visto, in anticipo e con profonda oculatezza, che la collaborazione tra scienza, industria e l’altra metà della popolazione (non maschile) avrebbe allargato il mondo del futuro. L’impegno nel campo dell’associazionismo femminile fu attivo e propositivo. La visione internazionale dovuta agli innumerevoli viaggi in varie parti la spinse ad aderire, anche, alla Federazione italiana laureate diplomate istituti superiori (FILDIS) sorta ufficialmente nel 1922 come sezione italiana della International Federation University Women (IFUW) di Londra; vi aderirono – ma era comprensibile – le maggiori menti femminili di allora in Italia e l’attività di Libera fu molto alta, apprezzata perché senza fini personali e, soprattutto, senza alcuna forma discriminatoria. Lo scopo era quello, soprattutto, di elevare il livello intellettuale delle donne, tutelarne l’attività professionale e intervenire non solamente sulle questioni attinenti l’educazione, ma in ogni luogo dove la loro presenza poteva essere importante e qualificante.
E il 1922 fu l’anno dell’avvento del fascismo che giocò, quasi subito, contro quella metà del popolo italiano ritenendolo inferiore. Le scelte del ministro della Pubblica Istruzione Giovanni Gentile che, da un lato obbligava i cittadini ad andare a scuola, da un altro – invece – manifestarono una forte componente sessista: nel 1923 alle donne venne vietata la carica di preside negli istituti di istruzione media e, due anni dopo, fu preclusa la carriera dirigenziale negli impieghi pubblici. Nel 1927 – stranamente ogni biennio – sempre alle stesse fu decretata l’esclusione dei concorsi per l’insegnamento delle materie letterarie e filosofiche nelle scuole superiori senza trascurare il drastico ridimensionamento lavorativo operato nel settore privato all’inizio degli anni Trenta.
Contro tutte queste ingiustificate pretese che anche ad una persona normale potevano sembrare violente e senza alcun senso, la FILDIS aveva cercato di opporsi; probabilmente la paura e l’autoconvinzione dell’inutilità di qualsiasi sforzo pesarono assai tanto che l’azione della stessa subì una contrazione molto forte: nel 1935, si autosciolse. Tale gesto, tuttavia, non rappresentò la rottura delle socie poiché, l’anno successivo, 1936 – grazie all’intraprendenza di Libera Trevisani – a Roma nacque una biblioteca per raccogliere tutto ciò che la produzione intellettuale femminile avrebbe prodotto. Bisogna ricordare, altresì, che altre associazioni delle donne si erano date da fare per cercare di contrastare queste violenze sessiste; nel febbraio del 1931, a Milano, era sorta la rivista “Cultura muliebre” che due anni dopo si chiamerà “Attività muliebre” e che fece confluire molte attiviste.
La studiosa veronese, diventata da anni cittadina romana, non aveva dimenticato, però, che molte altre potevano essere le attività a favore delle persone; da anni – ma continuò sempre – ella dedicava attenzione ai quartieri poveri della capitale: alla gente e alle famiglie Libera offriva se stessa sia dal punto di vista intellettuale (aiutava negli studi) sia da quello materiale; sempre nel silenzio, una donna che si considerava fortunata per quanto la vita aveva potuto darle, riteneva giusto e corretto che anche gli altri – per i quali l’esistenza era stata meno facile – potessero vivere i loro giorni in modo migliore.
La Trevisani insegnava gratuitamente matematica e inglese e lo fece costantemente soprattutto laddove la frequenza scolastica diventava difficile come nel convento delle suore vicino alla stazione.
La dittatura fascista, però, non aveva ancora terminato le violenze.
Il 14 luglio 1938 venne pubblicato il “Manifesto della razza”: e su tutte le persone d’origine semita cadde l’uragano. Nella zona dove i Levi-Civita vivevano, vi erano i Castelnuovo, i Tricomi, i Volterra, i Levi, i Frajese, gli Enriques e tanti altri colleghi i cui cognomi tradivano chiaramente l’appartenenza al mondo ebraico: tutti furono estromessi dall’insegnamento e su di loro – accentuata, poi, dall’occupazione tedesca – piovve la fine. Molti di loro, durante questo periodo, furono costretti a cambiare nome; dotate di mente profonda e indagatrice, ricche di princìpi morali elevati e di una bontà riservata, queste persone conobbero dolori, violenze e scherno, deportazioni e morte da parte di uomini motivati da leggi immorali.
Tullio Levi-Civita fu rimosso come molti altri. Pio XI lo nominò, però, membro della prestigiosa Pontificia Accademia delle Scienze permettendogli di avere uno stipendio e di continuare le ricerche; poi si ammalò e nessun medico lo volle curare a causa della sua “indegnità della razza” come prevedeva il Regio Decreto 1938: morì, isolato dal mondo scientifico, a Roma il 29 dicembre 1941. Molti anni dopo, sulla Luna gli fu dedicato il “cratere Levi-Civita” e l’asteroide 12473 porta il suo nome.
La guerra non alienò Libera dagli impegni: la sua costanza e la deliberata volontà di non cedere a nessuna norma che oscurasse la mente delle persone oneste la videro sempre nelle posizioni avanzate. L’attività nell’ambito dell’associazionismo femminile le permise di portare avanti una serie di iniziative che, appena terminato il conflitto, si rivelarono molto positive; assai importanti e ricordati nella storia dell’assistenzialismo ai poveri della capitale, furono gli aiuti sociali a favore delle madri nubili e dei loro figli, nonché l’appassionata istruzione degli operai delle borgate romane, assecondando un’iniziativa intrapresa da suore laiche spagnole.
Per meglio capire la capacità di una donna come lei e soprattutto quali fossero i sentimenti che animarono la sua vita, appare giusto ricordare un fatto assai importante.
Nel 1945 adottò una bimba, Susanna Silberstein, unica sopravvissuta di una famiglia che finì ad Auschwitz, senza ritorno. Salvata dalle suore del Carmine a Firenze, poi spaventate dalla violenza tedesca, Libera Trevisani (dapprima con Marcella Treves, poi da sola) adottò questa bimba di tre anni andando contro le leggi di allora e dando il proprio cognome da nubile per il fatto che era vedova. La ricostruzione storica della figlia adottata (v. Bibliografia) fornisce un’immagine di una dolcezza indescrivibile di questa “mamma” di 56 anni che non fece soltanto questo. Appare giusto sottolineare che l’attività della Nostra veronese (origine di cui fu sempre fiera) diventata romana non fu soltanto filantropia né solo militanza sociale, ma fu amore: incondizionato, senza colorazioni, senza applausi e, quindi, ancora più sincero.
Nel 1944 la FILDIS conobbe la rinascita e Libera Trevisani ne diventò presidente, rimanendo in carica sino al 1953. Nel 1946 fu tra le maggiori fautrici del voto alle donne che avvenne, per la prima volta in Italia, proprio in quell’anno; durante il mandato nel quale guidò la ricostituita Associazione femminile, si adoperò presso l’Istituto Centrale di Statistica allo scopo di avviare un’inchiesta sulle attività di studio e di lavoro delle donne italiane; partecipò attivamente in un comitato costituito dai Ministeri della Pubblica Istruzione e del Tesoro per la creazione di scuole intitolate a Laura Bassi, la prima docente universitaria nel 1752; aderì al Consiglio Nazionale per la Ricostruzione educativa e culturale, destinato a diventare la sezione italiana della IFUW oggi diventata GWI (Graduate Women International=Donne laureate internazionali) in seno all’ONU. Lavorò, pure, nella scuola ortofrenica a Roma assieme a Maria Luisa Levi Della Vida in Montesano, cognata di Giuseppe Ferruccio Montesano, psichiatra e psicologo: si occupavano del recupero dei ragazzi che la guerra aveva sconvolto.
Libera Trevisani Levi-Civita scomparve a Roma l’11 dicembre 1973. Roma e Bologna hanno dedicato una via al marito Tullio; di lei non si è ricordata neppure Verona.

Bibliografia: Libera Trevisani, Sul moto medio dei nodi nel problema dei tre corpi, “Atti dell’Istituto veneto di Scienze, Lettere ed Arti”, LXXI (1912), pp. 1089-1137; Paul Dubreil, Souvenirs d’un boursier Rockefeller 1929-31, “Cahiers du Séminaire d’histoire des mathématiques”, Paris, IV (1983), pp. 61-80; Fiorenza Taricone, Una tessera del mosaico: storia della Federazione italiana laureate e diplomate di istituti superiori, Pavia, Antares, 1992, pp. 119 ss.; Pietro Nastasi, Dalla parte delle mogli. Appunti di viaggio di Libera Trevisani Levi-Civita, “Lettera matematica Pristem”, Milano, XXXI (1999), pp. 51-54; Raffaella Simili, Sotto falso nome. Scienziate italiane ebree (1938-1945), Bologna, Pendragon, 2010, pp. 38-41; Sandra Linguerri, Trevisani Levi-Civita, Libera, in Dizionario Biografico degli Italiani, v. 96, Roma, Ist. Enc. It., 2019, pp. 755-757; Susanna Silberstein, Memoria, in “The Wayback Machine–https:/web.archive.org/web” (ult. visione, 11/11/2024); Judith Goodstein, Through the Eyes of Dr. Susanna Silberstein Ceccherini: The World of Tullio Levi-Civita, in https://www.judithgoodstein.com/from-the-archives (ultima cons. 11/11/2024) [testo italiano];  Daniela Brunelli, Libera Trevisani Levi-Civita, “splendente di bellezza e di autorità, in Donne visibili e donne invisibili. Mondi del fare e mondi del sapere, attraverso le protagoniste femminili nella Verona tra Otto e Novecento, a cura di D. Brunelli e Maria Luisa Ferrari, Sommacampagna, Cierre, 2023, pp. 83-84.

Giancarlo Volpato

Foto da: www.vitaminevaganti.com – (Archivio privato di Fiorenza Taricone)

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