2. Abate e Conte, in escursione al Ponte di Veja

…a cura di Aldo Ridolfi

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Ponte di Veja

Giuseppe Luigi Pellegrini, Abate e Conte, in escursione al Ponte di Veja

 2. Un abate di fine Settecento: Giuseppe Luigi Pellegrini

   E ci proveremo proponendovi il viaggio che l’abate conte Giuseppe Luigi Pellegrini effettua al Ponte di Veja e che egli stesso ci racconta in un poemetto intitolato appunto Il Ponte di Veja, stampato a Bassano del Grappa (VI) nel 1785 assieme ad altri due, uno dedicato al Vesuvio e un altro avente per titolo I Cieli.

  Ma chi è questo titolato abate veronese? E’ un nobile, conte appunto, appartenente ad una famiglia di antica nobiltà che già con gli Scaligeri ricopriva incarichi importanti. Nel Settecento l’abate è figura un po’ incerta e con profili diversi: si muoveva nel mondo e partecipava alla vita di società, era spesso uno studioso e si dedicava all’insegnamento.

  Giuseppe Luigi Pellegrini è stato uomo di notevole ingegno e anche di lunga vita essendo nato nel 1718 e morto nel 1799, a 81 anni.

  Per capire chi era riassumiamo quanto dice di lui Eriprando Giuliari, anch’egli abate, anch’egli conte, che ne scrisse l’anno dopo la morte. Il suo ricordo si può leggere in un libro stampato a Verona nel 1800 che contiene un’Orazione postuma del Pellegrini, l’Elogio del Giuliari e alcune poesie ancora dell’abate Pellegrini, scritte in morte della giovane Amaritte.

A farla breve, la storia è questa.

  Giuseppe Luigi Pellegrini ha tre fratelli (Federico, Ignazio e Carlo) che scelgono la carriera militare al servizio della casa d’Austria, il nostro Giuseppe, invece, si dedica alle lettere con la primaria preoccupazione, però, per dirla con Eriprando Giuliari, di un «servigio alla gloria maggiore di Dio».

  Entrato a 16 anni nella compagnia di Gesù a Bologna – è il 1733 – studia ottenendo ottimi risultati e lì rimanendo come insegnante. Passa poi a Modena dove continua, per cinque anni, il suo percorso culturale e religioso; di questo periodo rimangono i primi esperimenti di un poetare latino, lingua che egli usava come se fosse la sua lingua madre.

  Trasferito a Piacenza, nel 1743 ha come allievo proprio quell’Eriprando Giuliari che qui si assume il compito di presentarcelo. E’ poi a Bologna che lo consacra come predicatore possedendo egli – sono parole di Eriprando Giuliari – il non diffuso dono di comunicare con uguale efficacia «al dotto ch’intende, e all’indotto che sente» (Come dire: l’indotto non capisce niente ma prova emozioni! Speriamo che la cosa possa avere anche sfumature interpretative diverse!).

  Pellegrini cresce, dunque, in sapere tantoché come predicatore è ricercato, parendo egli nato per l’eloquenza. Non solo, ma, dando sempre ascolto a Eriprando Giuliari che abbiamo eletto a nostra guida, ottiene un tale successo che tutte le città italiane «furono nell’impazienza di udirlo». E non solo le città italiane ma anche in Austria egli si reca a predicare chiamato nientemeno che da Maria Teresa: è il 1772.

  Nello stesso tempo Giuseppe Pellegrini cura anche l’arte poetica, incominciando nel 1750 con il poemetto Il Vesuvio e continuando poi con Il Ponte di Veja, I Cieli e, più tardi, nel 1990, La tomba.

  Tra le sue pubblicazioni, oltre ai poemetti citati e alle Rime In morte di Amaritte, l’abate pubblica i Panegirici e le Prediche.

Nel 1763 lascia l’ordine dei Gesuiti perché viene soppresso.

  Infine riportiamo la descrizione fisica ancora una volta fornitaci dall’abate Eriprando conte Giuliari: «La statura grande, la persona agile, il colorito del volto rubicondo e soave, i capelli bianchi, gli occhi cerulei e vivaci, la fronte aperta e spaziosa, il naso aquilino e inclinante un poco da un lato».

  Ebbene, in compagnia di un simile personaggio saliamo da Romagnano al Ponte di Veja seguendo i versi del suo poemetto Il Ponte di Veja.

 Aldo Ridolfi (continua)

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