Vinco Ivo
…a cura di Giancarlo Volpato
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Cantante lirico, basso, Ivo Vinco nacque a Bosco Chiesanuova l’8 novembre 1927. Secondo di sette figli, crebbe all’interno di una famiglia dove il canto e la musica facevano parte della vita: il nonno e il padre, proprietari dell’Albergo Bellavista, suonavano il pianoforte ed il violino; fin da piccolo, quindi, iniziò a cantare nel coro parrocchiale e, mano a mano che la sua voce mutava, si faceva ascoltare come solista. Il padre, Lucillo, era l’organista e il maestro del coro e a tutti i suoi figli cercò d’insegnare sia i rudimenti musicali sia il canto corale nonostante fosse persona molto severa e poco propensa a perdonare gli errori.
Dopo le scuole elementari, Ivo, assieme ad altri due fratelli, venne mandato a Riva del Garda presso il collegio dei padri Giuseppini dove frequentò l’istituto tecnico commerciale; alla fine dello stesso, scese a Verona per completare gli studi, ma rimase assai poco.
Dopo l’8 settembre 1943, quando Verona divenne la capitale operativa della Repubblica Sociale Italiana di Salò, a Bosco Chiesanuova ebbero sede alcuni ministeri e, al di sopra di tutto, il comando della Guardia Nazionale Repubblicana, sotto la guida di Renato Ricci, grande gerarca fascista che dirigeva, nel paese, la scuola per sottufficiali della stessa. Diciassettenne, probabilmente poco attento a quanto accadeva, Ivo strinse amicizia con alcuni di questi adepti i quali avevano il compito di smascherare eventuali aspiranti alla resistenza: così, nel maggio del 1944, d’accordo con alcuni di questi, s’impegnò a nascondere delle armi provenienti dal deposito di una caserma in un luogo sicuro vicino alla contrada Carcereri a Cerro Veronese (da dove i Vinco erano arrivati un secolo avanti) con lo scopo, invece, di farle pervenire alla Resistenza. Il suo intento fu scoperto dai finti amici che lo denunciarono: venne incarcerato agli Scalzi, a Verona. Vi rimase per oltre due mesi, finché, per le reiterate richieste della madre che s’inchinò davanti al comandante Ricci, nel luglio 1944 ritornò in libertà. Ivo Vinco non aveva ancora diciassette anni e fu solo grazie alle perorazioni della moglie del gestore del Rifugio Fraccaroli, tedesca e, quindi, credibile dal gerarca fascista, che Ivo Vinco non fu trasferito in un campo di concentramento in Germania.
Alla fine della guerra, frequentò il liceo musicale di Verona: ma ancora non gli era chiara la carriera da fare benché il padre avesse capito che il figlio era particolarmente dotato. Proprio grazie alle fortissime pressioni del genitore, non entrò nella guardia di finanza, non fu abilitato a diventare un pugile, non dedicò la sua vita al professionismo degli sci nonostante le vittorie che egli conseguiva. Particolarmente irrequieto, tentò altri lavori: ma – e qui la personalità severa di Lucillo Vinco ebbe il sopravvento – quasi senza volerlo, alla fine degli studi musicali dove il canto cominciò davvero a dargli soddisfazioni, Ivo capì che il mondo della lirica sarebbe stato il suo.
Vinse un concorso – come basso – nel coro del Teatro “La Fenice” di Venezia dove rimase sino al 1954: nel frattempo, dividendo il suo tempo, frequentò l’accademia del Teatro alla Scala di Milano sotto la scuola di Ettore Campogalliani, il grande maestro che condusse alla gloria Mirella Freni, Luciano Pavarotti e molti altri. Fu la sua fortuna.
Nel 1954 venne a mancare il padre che non ebbe neppure la soddisfazione di vedere il figlio Ivo debuttare nell’Arena di Verona, ricoprendo il ruolo del Re nell’Aida di Verdi: fu l’inizio di una lunga carriera, cominciata proprio nella sua città dove cantò per tanti anni, trentadue complessivamente, battendo ogni record di presenze.
Immediatamente dopo – probabilmente anche per il buon successo di una voce, quella del basso, non sempre facile da interpretare – Vinco cantò alla Scala e vi ritornò con L’angelo di fuoco di Sergej Prokofiev dove cantò, per la prima volta insieme (dicembre 1956), con Fiorenza Cossotto, mezzosoprano che aveva già conosciuto sempre nel medesimo teatro di Milano.
I due si sposarono a Bosco Chiesanuova, nel 1958, nella chiesa parrocchiale dove gli invitati – per prima Giulietta Simionato – cantarono per loro. Dal matrimonio, nel 1960, nacque un figlio, Roberto.
La vita dei due artisti cambiò radicalmente. Per la Cossotto, forse il più grande mezzosoprano conosciuto (ma cantò anche come soprano, all’inizio) cominciò una carriera strepitosa; per Ivo Vinco non fu da meno. Conosciuto ormai, cominciò a girare per tutto il mondo offrendo le sue esibizioni nei più grande teatri; in America del Sud, nel celebre Colόn di Buenos Aires, a Montevideo e in Brasile. Nel Nord America, cantò a New York (nel Metropolitan), a Chicago, a San Francisco, a Los Angeles, fu a Città del Messico. Cantò a Vienna, a Monaco di Baviera, a Berlino e ad Amburgo; al Bolshoi di Mosca ricantò Prokofiev; lo ascoltarono a Parigi, a Lione, a Montpellier, a Marsiglia, a Bruxelles, a Montecarlo; scese in Spagna a Barcellona e a Madrid, in Portogallo a Lisbona, andò in Jugoslavia (com’era allora) a Spalato e in altre città; sarebbe ingiusto, tuttavia, dimenticare che egli si esibì in molti altri luoghi, meno noti, ma nei quali fu sempre accolto con lunghi applausi.
Intanto, come accadde per tutti i grandi interpreti, aveva cominciato ad incidere: in studio e dal vivo. Nel primo caso Ivo Vinco si cimentò nel 1959 con La Gioconda, di Amilcare Ponchielli, interpretando Alvise Badoero con Maria Callas, Piero Cappuccilli e Fiorenza Cossotto; l’esordio, in questo non sempre facile lavoro d’incisione, appare, di per sé, assai rilevante: con lui vi erano le persone più celebri che il mondo della lirica italiana abbia dato. Sua moglie, la mezzosoprano, sarà con lui, nello stesso anno, ad incidere Le nozze di Figaro di Mozart, dirette da Carlo M. Giulini; nel medesimo periodo vi sarà, pure, Lucia di Lammermoor di Donizetti. E continuerà, sovente assieme alla moglie, con Rigoletto, Don Carlo, Il trovatore, meritandosi così, la nomea di grande interprete verdiano. Non abbandonò Puccini e la sua Bohème.
Assai più numerose furono le registrazioni dal vivo che iniziarono nel 1959, l’anno successivo al matrimonio con Fiorenza Cossotto, con la quale esordì – assieme a tanti altri – ne La pietra del paragone, melodramma giocoso di Gioacchino Rossini: qui, interpretando la figura di Asdrubale, Vinco conferì all’opera una grande agilità di canto. Ben diciotto furono queste registrazioni effettuate nei teatri importanti italiani e stranieri dove Ivo Vinco si esibì con i nomi più celebri della lirica mondiale che vanno – oltre e molto sovente con Fiorenza Cossotto – da Renata Scotto a Giuseppe Di Stefano, Carlo Bergonzi, Maria Callas, Montserrat Caballé, Mirella Freni, Gianni Raimondi, Mario Del Monaco, Magda Olivero, il quasi compaesano Giuseppe Scandola e moltissimi altri cantanti prestigiosi sotto la regia dei più importanti direttori d’orchestra: da Antonino Votto a Gianandrea Gavazzeni, da Tullio Serafin ad Herbert von Karajan, da Georges Prȇtre a Oliviero De Fabritiis e ad altri. Di lui rimane, anche, una videografia, registrata nel 1968, del Barbiere di Siviglia, con Fiorenza Cossotto e altri interpreti.
Furono trentasei i ruoli che il basso ricoprì, in trentadue opere diverse: oltre a quelle citate, ne elencheremo alcune altre dove Ivo Vinco dette sempre la statura di se stesso: quella di un interprete lirico assai diverso da quello conosciuto agli inizi del Novecento allorquando il cantante entrava sul palcoscenico e rimaneva, assai spesso, un personaggio immobile, attento esclusivamente alla propria voce. Il basso di Bosco Chiesanuova, invece, si presentò sempre come un attore abile, attento e assai preciso nello svolgere il compito: disinvolto, come un vero maestro della recitazione. Sempre molto curato nell’aspetto fisico, perfetto indagatore del ruolo affidatogli all’interno dell’opera, Vinco fu unanimemente considerato un perfetto e assai bravo interprete non solo canoro: anche se – e fu spesso sottolineato – il suo tono di basso fu perfettamente grave (come era, da sempre, il suo ruolo) soprattutto all’inizio e, poi, con il passare del tempo, la sua voce acquistò rilevanza nei toni dove la vocalità sonorizzava a seconda dei ruoli interpretati. La storia aveva insegnato che il basso era stato impegnato nell’antica musica sacra e profana, ma si era capito più tardi, assai prima dell’epoca di Vinco – nella quale egli s’inserì magistralmente – che quel tono, a volte modellato, ben s’addiceva all’opera buffa e a quella seria.
Senza elencare tutti i ruoli e tutte le opere, appare giusto, tuttavia, ricordare almeno alcune di queste che Ivo Vinco condivise, sui palcoscenici italiani e del mondo, con cantanti destinati a rimanere nella storia della lirica del mondo: di Vincenzo Bellini interpretò ruoli nella Norma, ne I puritani, ne I Capuleti e i Montecchi (dove fu sempre Lorenzo), ne La sonnambula, fu il Conte Tomskij, con voce da baritono, ne La dama di picche di Čajkovskij, fu Inigo ne L’osteria portoghese di Cherubini e recitò più volte nell’Adriana Lecouvreur di Cilea; un suo grande amore furono le opere di Donizetti, dall’Anna Bolena a l’Elisir d’amore, dalla Lucia di Lammermoor a La favorita. Gioacchino Rossini lo ebbe come basso e baritono, ma fu Verdi il preferito di Vinco: per i ruoli nei quali si sentì maggiormente coinvolto assicurando – con la sua interpretazione – un’assoluta fedeltà all’idea che il grande compositore aveva stabilito per i suoi interpreti. Aprì le scene di Der Freischütz (Il franco cacciatore) di Carl Maria von Weber interpretando l’eremita. Nel novembre 1996, a Padova, interpretò il basso Simon ne I quattro rusteghi di Ermanno Wolf-Ferrari: aveva divorziato da Fiorenza Cossotto poco prima e fu, così, la prima opera che eseguì dopo il distacco dal matrimonio.
Nonostante il suo continuo viaggiare (seguiva la moglie, anche se egli se ne stava tra gli spettatori), Ivo Vinco non abbandonò mai la sua Bosco Chiesanuova. Trentadue furono gli anni nei quali l’Arena di Verona lo accolse tra i suoi protagonisti: da ricordare, tra gli altri, l’Aida del 1968 dove fu Ramfis e la moglie interpretò Amneris. Il suo paese natale lo riceveva ogni estate: qui, nell’albergo Bellavista che i suoi gestivano, arrivarono Tullio Serafin, Antonino Votto, Franco Corelli, Elena Souliotis, le colleghe di Fiorenza Cossotto; alla contrada Tander, luogo d’origine della madre, installò un pianoforte esercitandosi nel ripasso degli spartiti lirici. Amò sommamente l’arte, la studiò e acquistò opere di notevole importanza soprattutto quadri dal ’500 all’800; fece gestire dai suoi un albergo a Garda, di sua proprietà.
Ivo Vinco, grazie anche per il timbro straordinariamente calibrato della sua voce ma soprattutto per l’amabilità della persona, ebbe amici tutti i colleghi. Lo ricordarono perché fu un uomo distaccato dalle polemiche, sempre disponibile, signorile e lontano da qualsiasi forma di autocentrismo. Non si adontò neppure per la straordinaria fama di Fiorenza Cossotto che, a volte, fece passare in secondo piano la sua presenza.
Nel 1999, assieme al nipote Marco Vinco, che da lui aveva appreso l’arte del canto con la medesima tonalità del basso, concluse la carriera: al Teatro Filarmonico di Verona, interpretando Benoȋt, il padrone di casa, ne La bohème pucciniana.
Stabilizzatosi in Borgo Venezia, dedicò gli ultimi anni ad insegnare il canto.
Ivo Vinco scomparve a Verona l’8 giugno 2014. Bosco Chiesanuova lo ha ricordato con alcune serate di concerti a lui dedicate.
Bibliografia: Bruce Diffie, A Conversation: Mezzo-Soprano Fiorenza Cossotto and Basso Ivo Vinco, in http://www.brucediffie.com (l’intervista fu effettuata al Civic Opera House di Chicago, il 29 settembre 1983); Giovanni Villani, Addio a Ivo Vinco, interprete areniano da record, “L’Arena”, a. 149, n. 156, 9 giugno 2014, p. 51: ill.; Lino Birtele, Ivo Vinco: un “basso-cantante lirico” indimenticabile, “La Lessinia – ieri oggi domani”, quad. culturale n. 41, 2018, pp. 225-230.
Giancarlo Volpato
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Foto da www.operaclick.com