Zamboni Angelo

…a cura di Giancarlo Volpato

Poesia

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Angelo Zamboni

Pittore, Angelo Zamboni nacque a Verona il 31 ottobre 1895; il padre, Amato, era un impiegato statale e la madre, Rosa Tubini, era la sorella di Francesco, decoratore. Probabilmente, la genetica materna agì abbastanza presto e in maniera veloce sul nostro artista; infatti, dopo la Scuola maschile superiore di San Bernardino dove manifestò un’intelligenza e un apprendimento superiori agli altri studenti, non ancora quindicenne, entrò all’“Accademia di pittura e scultura G. Cignaroli” dove rimase sino al 1914: furono quattro anni d’intensità assoluta grazie anche ai suoi maestri Alfredo Savini, Baldassare Longoni e Carlo Donati, del quale fu anche allievo per l’affresco. Dotato di una personalità che non passò inosservata, si mise subito in luce per la capacità dell’ingegno, in continua fermentazione: silenzioso, molto attento agli insegnamenti, Angelo Zamboni attirò subito grandi attenzioni per il lavoro paziente, tenace ed estremamente fattivo: per questo, il suo maestro lo portò con sé – quando egli era ancora studente – nella Chiesa di S. Croce del Bleggio, vicino a Comano nel Trentino, per terminare gli affreschi in quella sacra costruzione seicentesca. Era un giovane amante della musica, della letteratura e anche buon pubblicista: egli diventerà, infatti, redattore capo del quotidiano “L’Adige” che era nato a Verona il 15 ottobre 1866, tre giorni dopo il più noto “L’Arena”.
Nel 1914 venne incaricato dal Conte Rienzi Ruffoni di decorare villa La Pavarana ad Azzago: il ciclo rivela gli echi della cultura secessionista viennese a cui guardavano allora anche i grandi della Verona dell’arte quali Felice Casorati, Guido Trentini, Ugo Zampieri, Eugenio Prati (v. questo sito) e molti altri: in questo splendido luogo della collina veronese crebbe, in mezzo alle bellezze artistiche, una poetessa di pregio quale Rufina Ruffoni (v. questo Sito). In questo periodo, Angelo Zamboni operava soprattutto come frescante: e qui, alla villa La Pavarana, egli coniugò il naturalismo ottocentesco con un’impronta decorativa e secessionista.
Era l’epoca del cenacolo veronese, guidato da Lionello Fiumi (v. questo sito), dove gli artisti erano uniti come forse nessun altro luogo aveva conosciuto. Angelo Zamboni, tra i suoi pregi, possedeva quello di apprendere e convivere con artisti, letterati, musicisti: fu accolto nel celebre cenacolo dove vi erano le menti più interessanti della cultura e dell’arte: oltre agli artisti sopra citati, si aggiungano Filippo Nereo Vignola, Nino Barbantini, Teodoro Wolf Ferrari, Arturo Martini, Gino Rossi, Sandro Baganzani (v. questo Sito) e tanti altri. L’ambiente culturale veronese tra il 1910 e il 1920 fu fortemente influenzato dalla presenza di Casorati: il linguaggio simbolista e klimtiano del celebre pittore, presente a Verona per oltre un decennio e mezzo, dette al Nostro giovane un’impronta profonda nel modus operandi, consolidandolo – nonostante la giovane età – come figura di spicco nella scena culturale veronese insieme a Guido Trentini, soprattutto. Anche se – e non si può dimenticare – il sodalizio artistico più forte avvenne tra lui, Guido Farina e Albano Vitturi: con questi, egli viaggiò in diverse città italiane, laddove avvenivano mostre. Certamente interessante fu anche la conoscenza con Giuseppe Flangini (v. questo Sito), pittore, commediografo, scenografo e uomo di forti interessi culturali: come, nella realtà, era il nostro giovane artista.
Chiamato alla guerra, fu dimesso, a causa della salute piuttosto gracile, nel settembre 1916: nonostante la presenza alle armi, egli continuava a dipingere. Appena ventenne (era il 1915), fu invitato alla Mostra Permanente annuale di Milano dove espose due dipinti ad olio, Neve e Un’ombra e l’anno successivo inviò, ottenendo un successo, alla quarta mostra della Secessione romana, Aurora: una stilizzata veduta di Azzago, poi reintitolata Alba statica che ripropose all’Esposizione delle Tre Venezie di Milano nel 1918 e a quella di Ca’ Pesaro. Grande ammiratore di Van Gogh e delle più aggiornate soluzioni non solo coloristiche d’oltralpe, Angelo Zamboni dette una splendida serie di vedute dell’avancittà (Alba statica appunto, Primavera, L’afa prima del temporale, Nuvole, Primavera assolata) molto cara a L. Fiumi alle cui poesie egli si ispirava; al celebre poeta dedicò, nel 1917, uno splendido ritratto (ora al Centro L. Fiumi) come aveva fatto, nel medesimo periodo, a Ugo Zampieri.
A 22 anni ebbe l’onore di entrare, con un profilo critico eccellente, in un libro dedicato ai giovani artisti italiani (v. Bibliografia).
Grande frequentatore dei circoli musicali e letterari dell’epoca, Angelo Zamboni aprì il suo studio, sopra a quello di Guido Trentini, in un edificio tra le scalette fra il Teatro Romano e Castel S. Pietro che resterà, per anni, l’osservatorio privilegiato puntato sulla città antica, luogo suggestivo di ricerche e di incontri. Molto bello e impegnativo fu il quadro, di quell’epoca, dal titolo Temporale di giugno che l’autore donò a Italo Montemezzi (v. questo Sito), il celebre compositore veronese a lui molto caro proprio per il coinvolgimento che il pittore sentiva nelle opere del vigasiano: le nuvole cantate nella lirica di Fiumi, Impressione d’un mattino di maggio, dopo un temporale, furono esattamente le sintesi plastiche che Zamboni mise insieme per il musicista: proprio in quel periodo il pittore aveva riascoltato l’opera lirica L’amore dei tre Re.
Interessante fu sempre l’attenzione per i ritratti, dove il nostro pittore sapeva cogliere la tenerezza dello sguardo e del volto: si pensi, ad esempio, a quello, quasi inedito (perché privato) del tenente Giuseppe Castagnetti del 1919, di una bellezza senza fine dove il segno del colore appare come in una tavolozza di rosa e di azzurro in netto contrasto con la costruzione quasi architettonica della figura, allontanandosi dallo sfondo della Chiesa di Santa Libera e di quella del Teatro Romano, entrambi come su una tela lontana assai meno importante; il pittore Zamboni aveva fatto un grande passo: dalle policrome e ariose tavolette delle case di periferia degli anni precedenti, era passato a tradurre il paesaggio urbano in linee squadrate e blocchi geometrici che servivano – e servono tuttora – a definire i piani della città antica e le pendici delle colline. La visione della città lo avvolse: solo come citazione, ma come uno degli esempi più importanti, si vuole guardare a una veduta (per molto tempo inedita perché di proprietà privata) intitolata Autunno (apparsa nel 1919 alla mostra di Ca’ Pesaro) dove si ravvisa un’ipotesi di ricostruzione quasi cubo-futurista della città.
In quel periodo il pittore – ormai noto a tutti e sconosciuto a nessuno, come fu scritto – venne chiamato ad esporre pressoché in tutti i luoghi dove venivano tenute mostre importanti; il 24 maggio del 1919, data non casuale, egli presenziò all’“Esposizione Cispadana di Belle Arti degli artisti soldati e congedati”, a Torino; nell’autunno dello stesso anno non mancò a quella Nazionale di Belle Arti di Torino e, subito dopo, a quella di Ca’ Pesaro al Lido di Venezia; già era stato alla prestigiosa Bevilacqua La Masa della città lagunare. La Biennale di Venezia lo accoglierà per altri anni; non lo dimenticherà la prima “Mostra Regionale d’arte” di Treviso; la Società Belle Arti di Verona lo annovererà come proprio illustre beniamino. Dotato anche di profondo rispetto ed amore per tutti – e non solo per i colleghi artisti – il nostro pittore non dimenticava assolutamente di esporre alla “Pro assistenza civica” veronese.
Su incarico della casa editrice Taddei di Ferrara, Zamboni realizzò le copertine di pubblicazioni “avanguardiste”: tra queste, per i veronesi, il volume dedicato da Fiumi a Corrado Govoni (1919), Mùssole sempre del nostro poeta, la raccolta poetica Riflessi di broccato di Alberto Neppi (1918) e l’antologia di versi Gialloblù (1919). In quel periodo egli era legato ad Ada Bertoldi, pittrice vicentina di valore, alla quale dedicherà due ritratti.
Le grandi vedute della Verona antica, guardate dall’alto della collina dove Zamboni aveva lo studio, denotarono in lui uno spessore cromatico che rese architettonicamente più solide le assonanze e le diversità stilistiche in ogni luogo (spazio e case, natura e paesaggio): il Ponte Pietra e L’ansa dell’Adige tra San Giorgio e il Vescovado illuminarono Antonio Avena, che le volle per sé.
Le inconfondibili stesure del colore “a falde larghissime” e “piatte” giungevano a forme di staticità immota e qui i cieli, le case, i campi, gli alberi acquistavano una pregnanza quasi metafisica, quasi sospesa: come un sorta di corpo unico, solido e inscindibile, fatto di puro colore.
Nel 1921 venne chiamato ad affrescare la Cappella dei Caduti della chiesa parrocchiale di Sommacampagna, un’opera ingiustamente trascurata, ma tra le più interessanti dal punto di vista architettonico, del tardo Liberty veneto del primo dopoguerra. Dal punto di vista artistico, Zamboni dimostrò in quest’opera la grandezza del suo valore come decoratore per essere riuscito a mettere insieme le sue esperienze di pittore da cavalletto con la genialità architettonica di Ferdinando Forlati (v. questo Sito); in questi lavori, dove i due dimostrarono la loro eccellente collaborazione, Zamboni mise in luce la conoscenza di quell’alta forma di “arte-artigianato” propria dei pannelli e dei fregi figurativi della scuola veneziana che aveva fatto proprie le qualità bizantine, islamiche e romaniche. Come frescante decoratore lavorò pure alla facciata del Garage della Fiat di Ettore Fagiuoli, architetto celebre e amico, a quella di un albergo in centro città: ormai, purtroppo, questi lavori – allora considerati di grande qualità – sono stati distrutti dal tempo.
Come scrissero i critici e gli studiosi, fu questa l’epoca di maggiore successo di Angelo Zamboni. Con Forlati, divenuto soprintendente del Veneto, il nostro artista trovò ulteriori modi per mettere a profitto la propria capacità artistica. Nel 1923 collaborò con lui decorando la casa Sacerdoti a Padova, fu nella chiesa-sacrario di S. Rocco a Lendinara nella provincia rodigina, realizzando, nel 1925, un altro ciclo dedicato ai caduti; dipinse i Simboli degli Evangelisti, sempre in quell’anno, nella basilica dei SS. Giovanni e Paolo a Venezia in occasione del restauro, come aveva già fatto nell’abbazia di Follina nel trevigiano: qui – ed esiste la documentazione scritta dell’autore – lasciò un trittico su legno con pittura a tempera e un polittico dell’altar maggiore. Con Pino Casarini decorò tre sale del Museo di Castelvecchio e, nello stesso complesso, il Salone dei concerti (oggi sala Boggian): qui, il 4 gennaio 1945, la guerra fece la sua storia poiché lo distrusse come accadde, a causa delle intemperie, per gli affreschi della facciata della sede della Cassa di Risparmio di Verona. Il preciso progetto iconografico di Antonio Avena, soprintendente alle opere d’arte di Verona, portò Angelo Zamboni a concludere l’impegnativo ciclo di affreschi nella chiesa di S. Maria del Pianto presso l’“Istituto A. Provolo” per l’educazione dei sordomuti dove realizzò anche una pala d’altare. Lavorò pure al palazzo della Provincia in piazza dei Signori nel centro cittadino veronese. Non dimenticò, assolutamente mai, Burano e le altre isole della laguna veneziana che furono uno degli elementi importanti della sua ispirazione artistica: si guardino i suoi quadri dedicati alla Basilica di S. Marco, alla Riva degli Schiavoni, alle vedute della Giudecca.
Nel 1925 Zamboni sposò Teresa Abati: donna dolcissima alla quale egli dedicherà due grandi ritratti di splendente bellezza per il colore, per la cura appassionata delle forme, per il risalto ch’egli seppe infondere alla propria mano. Egli la conobbe poiché il fratello di lei, Bruno, era un virtuoso di musica, grande appassionato di pittura; dal matrimonio nacquero tre figli: Annamaria, Ugo e Piero dei quali esistono i ritratti. Sempre presenti ai concerti degli Amici della Musica, egli fu incaricato di disegnarne la tessera.
Non bisogna dimenticare la costante presenza dell’artista alle mostre: la Società delle Belle Arti a Verona, l’opera Bevilacqua La Masa a Venezia, le gallerie milanesi, le Biennali e quelle italiane in generale; Angelo Zamboni aveva, già da tempo, travalicato i confini del Veneto.
Dal 1927, la famiglia si trasferì a Romagnano, oggi nel comune di Grezzana: fu il luogo ideale e prediletto di lavoro (non trascurando i quadri della zona di Ortisei dove spesso andava); vogliamo solo citare alcune opere: Colline veronesi, Paesaggio della Valpantena, Veduta di Azzago, Mattino d’inverno, Velo Veronese, Inverno e l’andamento a curve delle colline dove la sua mano raccolse tutte le esperienze neo-impressioniste che Pio Semeghini aveva importato e con il quale egli ebbe consonanze e affinità elettive: panorami dove lo stile di Angelo Zamboni lasciò un segno indelebile. Gravi problemi di salute rallentarono l’attività, ma egli non lasciò l’interno della chiesa di Romagnano che affrescò assieme al giovane Aldo Tavella.
Non gli furono lontani Cézanne, Renoir, Monet, Sisley, Pissarro; marine romagnole, cieli azzurri e temporaleschi, bianche vele riflesse nell’acqua: temi dominanti in quest’ultima parte dell’attività artistica del Nostro pittore; la consueta vigile attenzione all’intensità e al contrasto della luce oltreché la splendente costruzione architettonica ammaliarono l’ultimo periodo; forse – come un malinconico presagio – il blu e il rosso delle due vele di una piccola imbarcazione abbandonata in solitudine, su una spiaggia, dove andavano a morire le stanche onde all’ora del tramonto furono l’ultimo dipinto dell’artista: si intitolava Scende la sera.
Angelo Zamboni scomparve, in silenzio, a Verona il 1° febbraio 1939: aveva poco più di 43 anni.
A ricordarlo rimangono i suoi quadri e i suoi affreschi, due disegni della sua persona (una sanguigna di Pio Semeghini e uno a matita di Mario Vellani Marchi), le numerose mostre postume novecentesche, l’ultima delle quali nel 1985, una via dedicatagli a S. Giovanni Lupatoto. Fu ricordato anche per i contributi giornalistici al quotidiano “L’Adige”.

Bibliografia: straordinariamente numerosi appaiono gli scritti su di lui e sulla sua opera; ci limitiamo, quindi, ad alcuni più recenti eccetto il primo: Massimo Gaglione, I giovani, Caserta, Edizione dell’Unione, 1918, pp. 116-118; Angelo Zamboni. Pittore veronese: 1895/1939. Mostra a cura di Licisco Magagnato, catalogo di Maddalena Brognara Salazzari, Verona, [EBS], 1985; Maddalena Brognara Salazzari, Angelo Zamboni, in La pittura a Verona dal primo Ottocento a metà Novecento, a cura di Pierpaolo Brugnoli, Verona, Banca Popolare di Verona, 1986, pp. 402-410; Giorgio Cortenova-Francesco Butturini, Angelo Zamboni: profilo antologico, 1914-1938, Verona, Società Belle Arti Verona, 1995; Laura Lorenzoni, Angelo Zamboni: 1895-1939, [Verona, Museo Castelvecchio, 2000]; Diego Arich-Anna Chiara Tommasi, Ritratti a Verona tra le due guerre 1919-1945, in Il ritratto nel Veneto: 1866-1945, a cura di Sergio Marinelli, Verona-Novara, Banco Popolare di Verona e Novara, 2005, pp. 261-285; Annamaria Conforti Calcagni, Zamboni Angelo, in Dizionario biografico dei Veronesi (sec. XX), a cura di G.F. Viviani, Verona 2006, pp. 873-875; Diego Arich, Zamboni, Angelo, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 100, Roma, Ist. Enc. It., 2020, pp. 418-420.

Giancarlo Volpato

FOTO:

Zamboni Angelo (AngeloZamboniFamiglia – Opera propria archivio di famiglia)

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